Stati Uniti: come votano oggi le fedi

La religione incide parecchio sulle istituzioni statunitensi e anche sul voto. In uno scenario fortemente polarizzato, certi vecchi schieramenti sembrano lasciare posto a nuove divisioni in un Paese unito dal senso religioso

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Tranne che negli Stati Uniti d’America in nessun Paese occidentale (con la sola eccezione, forse, dell’Italia, ma con parametri molto diversi) ci si domanda apertamente, oggi, quale possa essere l’influenza che le Chiese e le confessioni religiose riescano a esercitare sull’elettorato nel momento del voto. Là la domanda non è peraltro se le religioni influenzino il voto, ma quanto lo influenzino e dunque quanto significativi, o persino decisivi, siano i numeri di elettori che le religioni riescono a spostare da un partito all’altro, da un candidato all’altro, da una tornata elettorale all’altra. Questo è vero sia a livello di elezioni nazionali, per la Casa Bianca ogni quattro anni, o per il rinnovo del Congresso Federale ogni due anni (in ragione sempre di tutta la Camera dei Deputati e di un terzo, a rotazione, del Senato), ma anche per le cariche locali.

La fede, il primo diritto politico dei cittadini

Gli Stati Uniti sono infatti un Paese religioso. Un Paese, cioè, dove la religione ha un peso pubblico importante, talora determinante, e dove lo spirito di religione è incorporato nelle istituzioni stesse, senza che le istituzioni abbiano la necessità di mostrarlo scopertamente. Come spiegò John Adams (1735-1826), secondo presidente degli Stati Uniti, «la nostra Costituzione è stata fatta solo per un popolo animato da princìpi morali e religiosi. È totalmente inadeguata a governarne qualsiasi altro[1]». Il primo dei diritti politici dei cittadini statunitensi è infatti la libertà religiosa: che non è soltanto la libertà personale di culto, ma anche la libertà di vivere le conseguenze pratiche della religione in termini di intrapresa, associazione ed espressione, dunque alla dimensione sociale e politica delle fedi.

Lo sancisce l’Emendamento I alla costituzione federale, primo in ordine ontologico e valoriale dell’elenco di prerogative che, subito dopo il varo della costituzione, si volle ribadire a limitazione del potere dello stato centrale nei confronti degli stati federati dell’Unione nordamericana, quindi dei cittadini: un elenco di dieci emendamenti complessivamente noto come Bill of Rights, entrato in vigore dopo la ratifica da parte degli Stati dell’Unione, nel 1791[2].

La rigidità del principio di non ingerenza del governo centrale nelle questioni religiose così stabilita ha dunque permesso al Paese di configurarsi in una laicità religiosa che consente alle fedi e alle realtà religiose organizzate di muoversi molto liberamente anche nell’agone politico e di tracimare (come ha avuto in diverse occasioni modi di dire l’ex presidente del senato italiano Marcello Pera) persino nelle istituzioni.

L’interesse nazionale e la religione

Le elezioni per la Casa Bianca si decidono sempre su temi di politica interna. Negli Stati Uniti, la politica estera non paga mai in termini elettorali. Soltanto se la retorica e la comunicazione politiche dei candidati e dei loro apparati riescono a “vendere” all’elettorato la politica estera come articolazione e prosecuzione della politica interna, allora l’argomento esteri può sperare di avere appeal nelle urne. Ma ciò che fa la differenza è sempre e solo il national interest, l’interesse nazionale vero e presunto. Ebbene, le tematiche di natura etica, morale e religiosa rientrano, elettoralmente parlando, nel national interest. La nostra costituzione, si chiedono insomma gli elettori statunitensi davanti all’urna, è davvero «stata fatta solo per un popolo animato da princìpi morali e religiosi», come diceva il presidente Adams, oppure no? E se sì, come ne è convinta comunque la maggioranza degli statunitensi, al netto di come essa interpreti quell’affermazione, cosa significa questo dal lato pratico? E come incide questo sul voto?

Il Pew Research Center (PRC) di Washington è uno dei più noti e accreditati istituti di sondaggistica, ricerche demografiche, analisi nel campo dei media e delle scienze sociali. Un sondaggio condotto dal PRC a fine aprile 2024 conclude che, in quel momento storico, la maggioranza di un segmento significativo degli elettori registrati (che si sono cioè per tempo iscritti volontariamente negli elenchi elettorali di un Paese che, su questo punto, non prevede alcun automatismo) definiti «bianchi» (qualunque cosa questa espressione significhi e soprattutto come venga fondata scientificamente in sede di sondaggio) dichiarava di votare per il candidato del Partito repubblicano, Donald J. Trump, mentre la maggioranza di un segmento significativo degli elettori «neri» (qualunque cosa questa espressione significhi e soprattutto come venga fondata scientificamente in sede di sondaggio) dichiarava di votare per quello che all’epoca era il candidato del Partito democratico, Joe Biden[3].

Il dato che rileva qui è che i segmenti significativi di quei due elettorati presi in considerazione dal PRC sono fortemente connotati in senso religioso. Sono cioè segmenti dell’elettorato cristiano, un elettorato che nelle urne può fare e fa la differenza. Il PRC indica genericamente il primo segmento (elettorato bianco per Trump) come cristiano e specifica come protestante il secondo segmento (elettorato nero per Biden). Si tratta certamente di una lettura generica: nel contesto linguistico e culturale statunitense il termine «cristiano» può infatti significare cose diverse, abbracciando gli afferenti a tutte le confessioni cristiane (come nel senso dato al termine in altri contesti linguistici e culturali) oppure divenendo sinonimo solamente di «protestante» (come è uso spesso fare fra i protestanti). Ma le generalizzazioni non sono da disdegnare automaticamente: offrono infatti sguardi d’insieme macroscopici non disprezzabili, certo da usare con cautela, ma indicativi.

Controversie e contrasti

L’elettorato «bianco» cristiano che in maggioranza dichiarava in aprile di votare Trump riteneva, infatti, secondo il sondaggio PRC, che Trump sia stato, fra il 2016 e il 2020, un buon presidente per i cristiani e che quindi lo sarebbe ancora in futuro, se il 5 novembre venisse eletto di nuovo. L’elettorato «nero» testato dal PRC che dichiarava in aprile di votare Biden presenta invece una particolarità rivelatrice: a esso, definito (come detto) protestante, il sondaggio del PRC associa anche gli intervistati a campione che, alla domanda sull’affiliazione religiosa, hanno risposto «nessuna». Si tratta di chi si è identificato come ateo, agnostico o «nulla in particolare».

Il meccanismo scientifico, e psicologico, o culturale, che ha indotto il PRC ad associare un elettorato connotato religiosamente a un elettorato religiosamente indifferente meriterebbe un’indagine approfondita autonoma, ma può non essere affatto un errore.

La polarizzazione degli elettorati di Trump e di Biden è dovuta a diversi fattori, ma certamente quello religioso non è fra gli ultimi. Le scelte pubbliche di Trump nel quadriennio presidenziale 2016-2020 su tematiche morali e religiose, o riconducibili a quelle voci, sono state evidenti. Divisive per molti e al contempo compattanti per altri.

Il dibattito pubblico sulle iniziative che la riforma del sistema sanitario nazionale statunitense avviata nel 2010 dal presidente Barack Obama, e nota come Obamacare, prendeva su contraccezione, aborto e sterilizzazione ha animato il Paese per anni e lo stralcio di diverse di quelle misure operato durante la presidenza Trump, comprese le vittorie in tribunale in diversi casi clamorosi a esse legati da parte di suoi oppositori, ne è un esempio vistoso. Lo stesso è stato con la nomina alla Corte Suprema federale di tre giudici conservatori, che Trump ha voluto e la Commissione Giustizia del Senato ratificato. L’arrivo di Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh ed Amy Coney Barrett nel massimo tribunale degli Stati Uniti ha infatti repentinamente modificato gli equilibri interni della Corte, ottenendo quella maggioranza che poi, il 24 giugno 2022, a conclusione del caso «Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization» ha ribaltato la sentenza con cui il 22 gennaio 1973 si concluse il caso «Roe v. Wade» dichiarando l’aborto non-illegale[4].

Sul fronte opposto, Biden ha risolutamente palesato di volere rispondere colpo su colpo a queste politiche volute o innescate da Trump, dimostrandosene uno strenuo avversario.

Ora, è evidentemente sbagliato ‒ sul piano concettuale ‒ definire religiosa la controversia sull’aborto, ma è altrettanto evidente il coté religioso di quella controversia. E il quadro da un lato si complica ma dall’altro pure si chiarisce, senza contraddizioni in termini, considerando che Trump, benvoluto dal fronte antiabortista e dai cristiani conservatori, non è una figura che brilli per un curriculum religioso, mentre Biden, benvoluto dal fronte filoabortista e dal mondo progressista, è cattolico praticante.

La complessità del quadro non necessità spiegazioni. I suoi contorni però si chiariscono nella misura in cui ridisegnano a tratti netti le linee di demarcazione. I confini corrono cioè oggi più lungo l’asse che divide i conservatori dai progressisti che lungo quello che divide l’elettorato religioso da quello non religioso. Ciò non significa però che la presa della religione sulla vita pubblica degli statunitensi sia diminuita, ma il contrario.

“Religiosità ortodossa” vs. “religiosità diversa”

La dimensione religiosa dell’elettorato statunitense è infatti persino aumentata. Dibattiti pubblici mai in verità sopiti, ma giocoforza negli anni stemperatisi, hanno ripreso vigore. Il fronte antiabortista, per esempio, è rimasto sempre attivo e reattivo, ma è evidente che, dopo decenni, gli effetti, se non altro psicologici, della sentenza nel caso «Roe v. Wade» hanno lasciato il segno anche sui suoi oppositori, che mai più speravano in un annullamento.

Il fronte filoabortista, invece, convinto oramai di avere ottenuto nel 1973 una vittoria irreversibile e strutturale, ha vissuto la sentenza nel caso «Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization», e la sua preparazione durante la presidenza Trump, come uno shock che ne ha galvanizzato e rinnovato la combattività, forte anche del sostegno dell’amministrazione Biden.

In tutto questo il mondo religioso ha svolto un ruolo di primo piano. Sul lato conservatore e trumpiano è facile intuirlo, effetto della consonanza e della corrispondenza fra il sentire morale delle fedi e le politiche del Partito repubblicano negli anni dell’amministrazione Trump. Ma anche sul lato progressista e bideniano alcuni esponenti e ambienti del mondo religioso si sono sforzati di articolare un linguaggio nuovo che potesse includere per esempio l’aborto senza rinunciare al discorso di fede.

Il Biden cattolico praticante e testimonial dell’aborto, che su questo tema suscita anche la critica di un pontefice come Francesco, che mai ha fatto mistero delle proprie simpatie umane (e politiche?) per Biden e che non si caratterizza certo per prese di posizione dirompenti, si inserisce qui. E il discorso non cambia dopo che Kamala Harris è succeduta a Biden come candidata democratica per la Casa Bianca in virtù del suo allineamento perfetto alle politiche del presidente in carica.

Questo rafforzarsi dell’incidenza delle religioni sul voto elettorale assume dunque oggi un aspetto che mai ci si sarebbe attesi da un Paese come gli Stati Uniti e da un teatro come quello politico: non (più) lo scontro fra un “elettorato religioso” e un “elettorato ateo”, ma la contesa dello spazio politico e delle istituzioni fra una “religiosità ortodossa” e una “religiosità diversa”.

La scelta del PRC di unificare in un solo fronte schierato per Biden le risposte della maggioranza dei neri protestanti e di chi alla domanda sull’affiliazione religiosa ha risposto «nessuna» deriva dal fatto che il credo della “religiosità diversa”, che politicamente si oppone alla “religiosità ortodossa” è così intenzionalmente inclusivo da annoverare anche la “religiosità atea”. Oppure la “religiosità atea” è così inamovibile dalle proprie scelte politiche da includere anche l’asset della “religiosità diversa”.

Ora, questo può non essere una novità per il mondo protestante. Il protestantesimo è per definizione un mondo plurale, animato da istanze anche molto diverse le une dalle altre dove confessioni conservatrici e confessioni liberal si distinguono e si distanziano proprio in ragione del conflitto fra “religiosità ortodossa” e “religiosità diversa”.

Sul fronte della “religiosità ortodossa”, da secoli diverse realtà protestanti, che a volte coincidono tout court con delle Chiese mentre altre volte le attraversano, sono alla ricerca di motivi di unità riconducibili a quel concetto di «Orthodox Christianity» che non è certo solo un esercizio accademico. Fra gli apporti che, talora in modo evidente talaltra in maniera carsica o addirittura inavvertita, hanno contribuito ad alimentare la ricerca spirituale e dottrinale cui è poi stato dato il nome di «Orthodox Christianity» (bene inteso: resta una ricerca molto dinamica, non una nuova confessione) si possono, da questo punto di vista, annoverare alcuni dei “risvegli spirituali” che hanno scosso il mondo protestante del secolo XVIII e un percorso che va dal sorgere del “fondamentalismo” protestante, ovvero l’anelito alla riarticolazione e la riappropriazione dei fondamenti autentici della fede cristiana a partire dai 90 saggi pubblicati nella serie The Fundamentals: A Testimony To The Truth[5] all’inizio del Novecento, fino forse anche a Mere Christianity, il saggio pubblicato nel 1952 C.S. Lewis[6].

Questo movimento ha negli anni prodotto effetti incisivi: dal sorgere di un rinnovato fervore del mondo evangelicale, connotato anche da quel modo nuovo di dirsi cristiani protestanti conservatori che è l’uso dell’espressione «born-again», alla collaborazione con il mondo cattolico conservatore che non ha annullato i sospetti reciproci e non si è risolto in un ecumenismo semplificato, a vere e proprie conversioni. Il manifesto Manhattan Declaration: A Call of Christian Conscience[7] dell’autunno 2009 resta ancora uno degli emblemi più importanti di quegli effetti, incentrato sul concetto di sacralità della vita umana e sulle conseguenze culturali, dunque anche politiche, di esso.

Sul fronte della “religiosa diversa”, gli esperimenti di outreach del progressismo cristiano in direzione del pensiero ateo sono almeno di origine ottocentesca e comportano un insieme di effetti anche politici che per molti versi hanno fatto la storia della Sinistra nel mondo democratico occidentale lungo tutto il Novecento, pur con differenziazioni e distinguo importanti.

Pare dunque avere ragione il PRC nel distinguere un fronte cristiano conservatore da un fronte dove si uniscono cristiani progressisti e sinistra non religiosa.

Errori e prospettive

Queste considerazioni sono dimostrate dall’analisi dell’elettorato bianco cristiano che dichiara di votare Trump: L’ex presidente trae supporto dall’81% dei protestanti evangelicali, dal 57% protestanti di altre denominazioni non evangelicali e dal 61% dei cattolici. Il dato è significativo per almeno due ragioni.

La prima è che l’elettorato cristiano sia protestante che cattolico non è minimamente spaventato dai comportamenti pubblici di Trump che certamente non rispecchiano la morale cristiana: sceglie di dare fiducia a Trump in base al curriculum della sua presidenza. Già lo fece del resto nel 2016 con un salto nel buio[8]. La seconda è che, con tutta la retorica con cui Trump preparò la campagna elettorale del 2016, improntata a una guerra culturale contro il movimento conservatore, di cui magna pars è il «popolo delle Chiese», non solo l’esito è stato l’opposto, ovvero un rafforzamento del movimento conservatore e l’allineamento di Trump a esso, ma la capacità trumpiana di catalizzare il voto cristiano si è posta in continuità con quanto fece pionieristicamente Ronald Reagan (1911-2004) alla vigilia della vittoria del 1980, anche innescando un cammino mai arrestatosi.

Fu infatti Reagan che per primo riuscì a intercettare in numeri importanti il mondo evangelicale che andava politicizzandosi a destra, configurandosi in quella componente (e fase) della storia del conservatorismo statunitense contemporaneo che è stata denomina «Religious Right» o «Christian Right» alla fine degli anni 1970 e negli anni 1980, iniziando al contempo anche un percorso di avvicinamento verso i cattolici[9].

Resta un dato forte: il 62% dei cristiani praticanti appoggia Trump e non il candidato democratico, ieri Biden oggi Harris. E se è vero che fra i cristiani a riconoscersi nel Partito repubblicano siano in maggioranza i protestanti, il tradizionale supporto dato dai cattolici al Partito democratico è venuto indebolendosi sempre di più dagli anni Ottanta e certamente la presidenza Biden, per quel che attiene alla spaccatura fra “religione ortodossa” e “religione diversa”, vi ha contribuito notevolmente[10].

Ora, i sondaggi sono fatti per essere smentiti. Tutto dipende infatti dai parametri adottati e spesso dal modo in cui le domande vengono poste agli intervistati, dove persino le sfumature contano, quindi a come quei modi di chiedere vengono tradotti nei risultati conclusivi. Il PRC è un istituto serio e accreditato, ma non automaticamente indenne da abbagli. Nel 2015, per esempio, annunciò clamorosamente che negli Stati Uniti il numero degli atei e degli agnostici avesse superato quello dei cattolici. Il dato venne però sconfessato da J. Gordon Melton, massima autorità statunitense degli studi sulla religione, fondatore dell’Institute for the Study of American Religion nell’Università della California di Santa Barbara, per il quale si era trattato di una «lettura miope dei risultati raccolti», giacché «il cristianesimo americano è in crescita costante da un secolo» e «la religione ha ampiamente permeato di sé il Paese», un Paese dove «i non-religiosi sono pochi. Quanto ai cattolici, per tutto l’ultimo secolo sono stati la Chiesa più grande (circa 60 milioni di fedeli) e oggi sono il triplo del loro rivale maggiore, i battisti (più di 16 milioni)[11]».

Secolarizzazione e non-secolarizzazione

Ma, come sempre in questi casi, i dati del PRC non sono sbagliati in assoluto: vanno letti bene. Per il 2024 confermano la forte presa del mondo delle religioni sulla politica, persino sul voto. E ciò non vale soltanto per il cristianesimo.

Le inclinazioni politiche degli afferenti ad altre religioni sono molto difficili da accertare perché, di norma, vengono espresse in modo molto poco aperto e perché numerose fedi non-cristiane ostentano piuttosto un disinteresse positivo per la politica, alimentando il popolo, negli Stati Uniti davvero enorme, del non-voto.

L’eccezione più vistosa sono gli aderenti al Falun Gong, un vasto nuovo movimento religioso nato nel 1992 nella Repubblica popolare cinese e decimato dal regime. Molti sono gli espatriati negli Stati Uniti e molti i cittadini statunitensi che vi aderiscono, fra cui i rifugiati che hanno acquisito la cittadinanza. Il supporto dato a Trump dal quotidiano The Epoch Times, riconducibile al movimento, è stato sempre scoperto e alcune controversie che hanno poi travolto il giornale, spingendo la dirigenza del movimento a prendere le distanze da esso, non hanno mai cancellato quel fatto incontrovertibile.

Una variante da valutare a questo proposito è il candidato democratico alla vicepresidenza, Tim Waltz. Nonostante la macchina elettorale di Trump abbia fatto di tutto per presentarlo come filocinese, il suo curriculum lo attesta ben poco. Anzi, dimostra persino il contrario. Questo elemento potrebbe fare dunque presa, nel momento del voto, sulle diaspore dalla Cina che hanno trovato rifugio negli Stati Uniti, presso cui i naturalizzati crescono, e sui loro sostenitori. Per esempio sugli uiguri musulmani e sulle altre etnie dalla forte connotazione religiosa. La loro incidenza sulle urne potrebbe finire insomma per non essere indifferente: un caso specifico di quanto non indifferente sui risultati delle urne è sempre, negli Stati Uniti, il voto religioso.


[1] John Adams, Messaggio agli ufficiali della Prima Brigata della Terza Divisione della Milizia del Massachusetts, 11-10-1798, in The Works of John Adams, Second President of the United States, Little, Brown and Company, Boston 1854, vol. 9, p. 229.

[2] Cfr. The Constitution of the United States, 1787, https://tinyurl.com/tw6mbxpy, Bill of Rights, 1791, https://tinyurl.com/4exanrpc. Per praticità ho accorciato gli indirizzi web in URL brevi adoperando il servizio di conversione TinyURL. Tutti gli indirizzi Internet riportati nel testo sono stati consultati il 30 agosto 2024.

[3] Cfr. Gregory A. Smith, Voters’ views of Trump and Biden differ sharply by religion, Pew Research Center, Washington 30-04-2024 , https://tinyurl.com/yj4msmh5.

[4] Cfr. Thomas E. Dobbs, State Health Officer of the Mississippi Department of Health, et al. v. Jackson Women’s Health Organization, et alii, https://tinyurl.com/42csx642, e Jane Roe, et al. v. Henry Wade, District Attorney of Dallas County, https://tinyurl.com/2n7zj7ur.

[5] Cfr. The Fundamentals: A Testimony To The Truth, Testimony Publishing Company, Chicago 1910-1915.

[6] Cfr. Clive Staples Lewis (1898-1963), Il cristianesimo così’ com’è, trad. it., Adelphi Milano 1997.

[7] Cfr. Manhattan Declaration: A Call of Christian Conscience, 2009, https://www.manhattandeclaration.org/

[8] Cfr. Myriam Renaud, Why White Evangelicals Stuck with Trump, in Sightings (The University of Chicago Divinity School, Chicago 11-02-2021, https://tinyurl.com/2a3nphte; Phyllis Schlafly (1924-2016), Ed Martin ed Brett M. Decker, The Conservative Case for Trump, Washington, Regnery 2016; e, a fine mandato, in preparazione del futuro, Austin Ruse, The Catholic Case for Trump, Regnery, Washington 2020.

[9] Cfr. Daniel K. Williams, God’s Own Party: The Making of the Christian Right, Oxford University Press, New Yok 2010.

[10] Cfr. Pew Research Center, Changing Partisan Coalitions in a Politically Divided Nation Party identification among registered voters, 1994-2023, 5. Party identification among religious groups and religiously unaffiliated voters, Pew Research Center, Washington 9-04-2024, https://tinyurl.com/3j7zcn7t.

[11] Cfr. il mio Mica vero che negli Usa gli atei superano i cattolici, in La nuova Bussola Quotidiana, Monza 15-6-2015, https://tinyurl.com/5fd2npsm.

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