L’inverno demografico dell’Est-Europa

Il declino demografico dell’Est-Europa è iniziato con la crisi postcomunista e prosegue oggi tra emigrazione giovanile, politiche migratorie inefficaci e nazionalismi che ostacolano l’attrazione di nuova forza lavoro

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L’Europa Orientale, a ridosso della seconda guerra mondiale, assistette a un’esplosione della propria popolazione, come tutto il vecchio continente. Questa crescita generò la speranza nella nuova classe governativa insediatasi sotto la tutela socialista-sovietica, che la forza lavoro per ricostruire e realizzare la loro dogmatica utopia sarebbe stata illimitata. Al contrario, oggi, la popolazione dell’Europa Orientale è in costante sensibile diminuzione dal 1993.

Negli anni Cinquanta e Sessanta, il “sogno comunista” portò in effetti a un innalzamento dello standard di vita del cittadino est-europeo: fu registrata una crescita reale della ricchezza, almeno dal punto di vista economico. Questo segno di sviluppo iniziale, che caratterizzò il “periodo d’oro” dell’epoca tardo-stalinista fino ai primi anni dell’esperienza governativa di Krushchev, iniziò a rallentare con Brezhnev, per fermarsi poi del tutto con Chernenko, tanto che questa fase si guadagnò il celebre soprannome “Era della stagnazione” coniato da Gorbachev. Date le caratteristiche del sistema, che utilizzava strutture come quella del Comecon (Consiglio di mutua assistenza economica), al fine di creare un mercato unico oltre Cortina, ogni considerazione economica sulla vecchia Unione Sovietica può essere generalizzata a tutta l’Europa orientale, che si conformava alle politiche dell’URSS.

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L’incremento demografico del secondo Dopoguerra aprì la possibilità di sviluppare significativamente le proprie industrie, spesso a discapito del settore agricolo. L’industrializzazione, con il conseguente miglioramento delle condizioni economiche della popolazione, stimolò un aumento demografico. Questo circolo virtuoso andò avanti per un ventennio.

Dopo la caduta del muro di Berlino e la graduale disintegrazione del blocco orientale e di tutte le sue organizzazioni accessorie (Patto di Varsavia, Comecon), molti Paesi, una volta sotto il caldo mantello del “gigante rosso”, si trovarono improvvisamente ad affrontare il “freddo inverno” del capitalismo. In effetti, le transizioni postcomuniste più o meno violente (vedi Germania Est, Polonia, Romania, Albania) si presentarono più come un fallimento del sistema-Stato che una transizione pacifica da un tipo di economia all’altro. Si trattava, di fatto, di dover ricostruire la compagine statale da zero, passando oltretutto per un complicato processo di privatizzazione. La maggior parte dei cittadini era abituata ad essere impiegata nei diversi settori dello Stato, a seconda della propria formazione. L’improvvisa, quasi totale assenza di statualità, causò un autentico collasso di un sistema che aveva già esperito un lento e progressivo sfaldamento. Il decennio dei Novanta fu un periodo molto arduo per i popoli est-europei: i Pil precipitarono, generando una disoccupazione diffusa ed un’inflazione in crescita esponenziale. L’insieme di questi fattori determinò l’inizio di una crisi demografica non ancora cessata.

Il picco demografico est-europeo si verificò nel 1991, arrivando a superare i 300 milioni di abitanti. Da allora la decrescita è stata costante ed inesorabile. Nella vecchia economia socialista, il Pil era legato al numero degli abitanti, seguendo dunque fluttuazioni analoghe a quelle demografiche sopra indicate. Spostando la lancetta in avanti di alcuni anni, ci troviamo nel nuovo millennio. Le crisi degli anni Novanta sono finite, la “pax americana” ha preso il sopravvento e la transizione sistemica verso l’economia di mercato si è ormai realizzata. Il Pil di questa regione torna a crescere, anche come conseguenza dell’integrazione di molti di questi Paesi all’interno dell’Unione europea. Stavolta, però, la crescita del Pil non si accompagna alla ripresa della situazione demografica di queste zone: bisogna infatti analizzare fattori molto più complessi, che vanno al di là dei meccanismi legati alle relazioni produttive e ai parametri economici.

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Quando un Paese affronta “l’inverno demografico” e perde forze produttive, ci si aspetta che si rivolga all’immigrazione come fonte sostitutiva di manodopera. L’Europa oggi è meta di un’ondata migratoria che proviene da sud-est. Sebbene anche l’Est-europeo sia interessato da questa migrazione (i flussi migratori netti di questa regione sono positivi da circa metà degli anni Novanta), il reale problema sta nella scarsa capacità di questa regione di trattenere gli immigrati stessi. Tutto questo ha determinato un numero estremamente limitato di immigrati sedentarizzati in Est-Europa, largamente superati dall’alto tasso di mortalità, incapace di compensare il saldo negativo tra nascite e decessi. L’aspettativa di vita orientale è di circa 73 anni: una media largamente al di sotto della controparte occidentale.

L’oriente europeo incontra molti ostacoli nel darsi una politica migratoria coerente. Un problema notevole risiede nell’incapacità di darsi serenamente una pedagogia nazionale da parte di ognuna delle singole nazioni, dopo decenni di “appiattimenti” internazionalisti. Da cui il prosperare nell’area dei partiti nazionalisti più estremi. È proprio la mescolanza di interessi politici e di identità nazionale ad increspare le acque, creando confusione ed attriti all’interno del concerto nazionale ed europeo.

In Romania, per esempio, l’Alleanza per l’Unione dei Rumeni (AUR) è un partito politico che si definisce nazional-rivoluzionario[1]: propone l’annessione della Moldavia e addirittura della Bessarabia, respingendo al contempo l’adesione all’Unione Europea. Questo partito, alle ultime elezioni parlamentari del 2020, ha raggiunto il 10% dei suffragi. In Bulgaria, il partito politico ultranazionalista Rinascita (Vazrazhdane), è il secondo raggruppamento politico del Paese, con il 13% alle elezioni del 27 ottobre[2]. Per non menzionare il partito Fidesz di Orban, che governa l’Ungheria con un sistema di totalitarismo morbido, con politiche reazionarie, euroscettiche, e filo-putiniane[3]. Ovviamente, questi gruppi creano le condizioni perché gli immigrati siano poco inclini ad entrare e a fermarsi, poiché resi esplicitamente persone non grate.

Contemporaneamente, i partiti che rappresentano le nostalgie vetero-socialiste delle generazioni che hanno vissuto i regimi precedenti minacciano la possibilità di un ritorno ai vecchi sistemi, concorrendo anch’essi alla deterrenza all’immigrazione. Queste suggestioni nostalgiche stanno pian piano scomparendo, con la scomparsa progressiva della generazione che visse gli anni Sessanta e Settanta. Sebbene la retorica “rossa” di questi partiti serva solo a racimolare qualche voto, mascherando un’accettazione implicita del nuovo ordine, ciò potrebbe non essere evidente a dei potenziali nuovi cittadini immigrati.

Infine, partiti convintamente europeisti come Piattaforma Civica (Platforma Obywatelska) in Polonia, aperti all’accoglienza degli immigrati in quanto consapevoli del loro ruolo fondamentale nell’ottica di invertire l’andamento demografico, hanno grandi difficoltà a rimanere al potere e a combattere i populismi di chi individua nell’immigrazione la causa principale delle crisi economiche[4]. Il risultato di questa situazione è un’instabilità politica permanente (in Bulgaria ci sono state 7 elezioni parlamentari negli ultimi 2 anni), che di fatto rende l’Est-Europa poco attraente per gli immigrati, riducendo la regione ad una porta di accesso e di passaggio.

Accanto al problema dell’identità nazionale, il quadrante orientale ha un problema di riconoscimento dell’importanza dei diritti dell’individuo e della comunità. La libertà di stampa nei paesi dell’Est, secondo la classifica di Reporter senza frontiere, è costantemente nelle ultime posizioni, con la sola eccezione della Romania. Non ci si posiziona meglio in merito alla situazione dei diritti civili delle comunità LGBT, tantoché in Bulgaria le Gay Pride Parade devono essere regolarmente scortate dalle forze dell’ordine per proteggerle da attacchi, anche di tipo lapidativo[5]. In Polonia esistono addirittura “zone LGBT-free”. Questi fenomeni ovviamente, non solo mettono questi Stati in condizione di non poter attrarre a sé un’immigrazione internazionale, sempre più sensibile a questi temi, ma obbligano i propri cittadini più giovani a lasciare il proprio Paese, alla ricerca di luoghi dove ci siano garanzie concrete su questi temi.

Come corollario di questa confusione, sfruttata dai populisti per la loro corsa verso il potere, non esiste in nessun paese dell’Est-Europa una legge strutturata sull’acquisizione della cittadinanza per gli immigrati[6]. Anche questo, naturalmente, rende ancora più difficile l’integrazione e l’assimilazione, per tutti coloro che vogliano insediarsi cercando serie prospettive future.

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Paradossalmente, la maggioranza dei paesi della zona si è pronunciata, sia politicamente che socialmente, a sfavore dell’immigrazione, senza comprendere come essa rappresenti l’unica soluzione immediata alla grave crisi demografica e quindi economica nella quale si ritrova. Accanto al fenomeno di decrescita demografica, fra l’altro, i flussi migratori interni concentrano la popolazione nelle grandi città, sempre più affollate, lasciando al degrado e alla desolazione le zone periferiche, con i conseguenti problemi di governo del territorio. Paesi come la Bulgaria vivono un inarrestabile crisi di emigrazione (si prevede che nel 2050 questo Paese, la cui superficie è un terzo di quella italiana, sarà abitato da soli 5 milioni di persone; mentre quelli della sua capitale, Sofia, aumentano ogni giorno)[7]. È evidente che in queste circostanze la soluzione del problema demografico est-europeo non può che passare per una rivisitazione delle politiche migratorie. È d’altra parte necessario rivedere criticamente i sistemi e le strutture economiche di questi Paesi, a cominciare da una seria redistribuzione dei redditi, resa possibile dalla crescita del Pil degli ultimi vent’anni. Solo in questo modo sarà possibile combattere i populismi, dando finalmente la possibilità ai governi di attuare politiche di accoglienza, tese ad arrestare la crisi demografica.


[1] https://flux24.ro/claudiu-tarziu-co-presedinte-aur-vom-incepe-o-revolutie-conservatoare/

[2] https://results.cik.bg/pe202410/rezultati/index.html

[3] https://edition.cnn.com/2022/04/03/europe/hungary-election-results-viktor-orban-intl/index.html

[4] https://www.frontiersin.org/journals/political-science/articles/10.3389/fpos.2022.1040616/full

[5] https://web.archive.org/web/20120709012936/http://www.sofiapride.info/2012/07/01/sofia-pride-premina-uspeshno-za-peta-poredna-godina/

[6] https://cadmus.eui.eu/bitstream/handle/1814/46112/RSCAS_GLOBALCIT_Comp_2017_02.pdf? sequence=1

[7] https://forbesbulgaria.com/2023/11/14/населението-на-българия-ще-намалее-с-б/

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