La questione Somaliland: nuovi equilibri e opportunità per l’Italia

Dalla fine della “pax ottomana” le coste del mar Rosso hanno assistito a una miriade di conflitti. Dall’apertura del canale di Suez, passando per i due conflitti mondiali, l’area è sempre stata soggetta ad un’instabilità politica che è ormai endemica. Tutti i Paesi rivieraschi, soprattutto sulla sponda africana, sono stati sconvolti da guerre civili di varia durata e durezza. Non sono mancati nemmeno veri e propri scontri armati tra i governi dei diversi Stati. Nonostante la violenza imperversasse sulle coste e nelle aree interne, la navigazione sul mar Rosso, sporadici episodi a parte, proseguiva senza particolari intoppi. I dossier Houthi e Somaliland rischiano di cambiare completamente gli equilibri in gioco

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Dalla fine della “pax ottomana” le coste del mar Rosso hanno assistito a una miriade di conflitti. Dall’apertura del canale di Suez, passando per i due conflitti mondiali, l’area è sempre stata soggetta ad un’instabilità politica che è ormai endemica. Tutti i Paesi rivieraschi, soprattutto sulla sponda africana, sono stati sconvolti da guerre civili di varia durata e durezza. Non sono mancati nemmeno veri e propri scontri armati tra i governi dei diversi Stati. Nonostante la violenza imperversasse sulle coste e nelle aree interne, la navigazione sul mar Rosso, sporadici episodi a parte, proseguiva senza particolari intoppi. I dossier Houthi e Somaliland rischiano di cambiare completamente gli equilibri in gioco.

Gli Houthi cambiano le regole del gioco

La fine del 2023 ha portato un nuovo paradigma nell’area con gli attacchi dei miliziani Houthi che hanno causato una grave contrazione dei traffici commerciali attraverso il canale di Suez. Il nuovo utilizzo in campo bellico di droni dal basso costo di produzione, massicciamente impiegati anche nel conflitto russo-ucraino, apre a nuovi scenari di combattimento. Una milizia impegnata in una sanguinosa guerra civile locale ha così ottenuto la capacità di minacciare i flussi dei commerci mondiali.  

Stabilità del mar Rosso e attori in gioco

La piena e libera navigabilità delle acque del mediterraneo, nell’attuale contesto di interconnessione delle catene di approvvigionamento globali, è fondamentale per le economie europee e nordafricane che non hanno affaccio diretto sugli oceani. La stabilità di uno degli accessi al mare nostrum va quindi ritrovata. Per raggiungere lo scopo è necessario che venga a formarsi un nuovo equilibrio tra gli attori che si contendono l’egemonia nella regione. Etiopia, Egitto, Arabia Saudita e Turchia si muovono in modo più o meno assertivo al fine di consolidare i propri interessi. 

L’Etiopia vuole mar Rosso attraverso il Somaliland

L’Etiopia, perso l’affaccio sul mare nel 1991 a causa della guerra che aveva portato all’indipendenza dell’Eritrea, sta cercando di dotarsi di sbocchi sulle acque del golfo di Aden. Per raggiungere lo scopo, il governo di Addis Abeba ha siglato un accordo con il Somaliland, repubblica autoproclamata nel 1991 nel contesto della guerra civile somala. I termini dell’accordo prevedono l’accesso al porto di Berbera nel Somaliland in cambio del riconoscimento ufficiale della repubblica da parte etiope. L’Etiopia ha già schierato, nei territori della repubblica autoproclamata, un contingente di duemila soldati con compiti di antiterrorismo. 

L’Egitto teme per il Nilo

L’Egitto, già in rotta con l’Etiopia a causa della Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), ha immediatamente avviato contatti con il governo somalo e quello eritreo in chiave antietiope. La GERD è una diga, ancora in costruzione, collocata sul corso del Nilo azzurro. Una volta completata fornirà energia elettrica fondamentale per lo sviluppo dell’Etiopia, tuttavia limiterà il volume d’acqua che il Nilo porta in Sudan e in Egitto. Il governo di Il Cairo vede l’azione etiope come una doppia minaccia ai suoi interessi vitali, i flussi di acqua del Nilo e il libero accesso all’oceano Indiano tramite il mar Rosso.

La Somalia teme l’influenza etiope nel Somaliland

Forti preoccupazioni si sono impadronite anche delle stanze del governo di Mogadiscio. La Somalia è ormai sconvolta da guerre civili e infiltrazioni di gruppi terroristici da diversi decenni. L’economia del paese è fatiscente e quasi totalmente dipendente dagli aiuti internazionali. La progressiva incapacità del governo nel controllare il territorio ha portato la regione del Somaliland a dichiarare l’indipendenza e a perseguire una politica estera autonoma. L’accordo tra il Somaliland e l’Etiopia ha ulteriormente alzato il livello di allarme in una Somalia che ormai teme per la propria integrità territoriale. 

La quarta sponda turca

In questo contesto caratterizzato da forte instabilità si è inserita abilmente la Turchia. Il governo di Ankara è riuscito a legare il bisogno di sicurezza della Somalia alla propria necessità di accesso alle acque oceaniche. In risposta al memorandum tra Etiopia e Somaliland, la Somalia si è rivolta al governo turco con lo scopo di formare una propria marina militare. I turchi oltre ad addestrare ed equipaggiare la marina somala, attualmente inesistente, avranno il compito di proteggere le acque del corno d’Africa da pirateria e terrorismo. In questo modo la Turchia avrà la possibilità di dispiegare permanentemente naviglio militare nelle acque del mar Rosso e del Golfo di Aden. Inoltre, “la Sublime Porta” si impegnerà nell’assistere la Somalia nell’istituzione e nello sfruttamento di una zona economica esclusiva (ZEE). In cambio Ankara riceverà il 30% delle risorse che deriveranno dalla ZEE somala. Le intenzioni turciche non sono esclusivamente legate alla protezione della sovranità malgascia, anche perché potrebbe presentarsi il rischio di un conflitto armato contro l’Etiopia sulla questione del Somaliland. La Turchia intende quindi presentarsi come mediatore accreditato e affidabile per la gestione dei conflitti nell’Africa orientale. In questo modo poggerebbe le sue aspirazioni neo-imperiali su una solida base diplomatica, che insieme alla presenza navale sancirebbe la tutela degli interessi oceanici turchi. 

L’Arabia Saudita alla ricerca di difficili equilibri

Sulla sponda asiatica del mar Rosso l’Arabia Saudita continua nel suo progetto di espansione e potenziamento della marina militare. Tuttavia, Riyadh continua nella sua politica di “flessibilità” diplomatica nei confronti del potente vicino iraniano. Nonostante il conflitto yemenita continui a contrapporre gli interessi sauditi e iraniani, i due contendenti, posti sulle sponde opposte del golfo persico, continuano a evitare uno scontro aperto. Anche la questione israeliana, tornata in auge dopo gli attentati del sette ottobre, contrappone le visioni arabe e persiane. L’Iran continua a sostenere la resistenza armata a oltranza contro le forze israeliane, mentre l’Arabia Saudita propende verso il riconoscimento e la normalizzazione dei rapporti con Israele per giungere alla soluzione dei due Stati. Questa “flessibilità” diplomatica denota la visione strategica e geopolitica del governo di Riyadh, intenzionato a consolidare la propria influenza evitando un conflitto alle porte del golfo Persico. In concomitanza con gli attacchi Houthi che hanno ridotto la navigazione mercantile attraverso il mar Rosso, una chiusura dello stretto di Hormuz sarebbe catastrofica non solo per l’economia saudita ma per quella mondiale.  

Spazi per l’Italia

Per l’Italia ci sono diversi spazi di manovra per intensificare la propria influenza nella regione del mar Rosso. Grazie alla nostra partecipazione a diverse missioni con scopi umanitari, di addestramento delle forze locali, di peacekeeping e sorveglianza marittima, il tricolore italiano è già ben noto alle popolazioni locali. Gli scambi commerciali, e la presenza di investimenti italiani sul territorio, denotano il superamento dell’ostilità scaturito dal periodo coloniale, soprattutto nei territori etiopi. I buoni rapporti economici con l’Etiopia e le diverse missioni finalizzate al consolidamento dello stato somalo ci pongono in un’ottima posizione di intermediazione tra i due Paesi. I legami culturali con l’Eritrea facilitano la propagazione del nostro softpower nel Paese e gli stretti legami economici, ed energetici, con l’Egitto ci forniscono diverse leve diplomatiche con il Paese delle piramidi. La partecipazione alle missioni Aspides, EMASOH-AGENOR e EUNAVFOR ATALANTA, unitamente alla base militare di supporto posizionata a Gibuti, ci assicura una presenza navale e militare stabile nella regione. Abbiamo tutti gli ingredienti per aumentare la nostra influenza in un’area di fondamentale importanza per il Paese. Se non vogliamo lasciare alla Turchia il ruolo di arbitro nelle acque del mar Rosso e del golfo di Aden è imperativo utilizzare in modo più efficace tutte le possibilità del nostro softpower e hardpower già presenti nella zona. L’accesso all’oceano Indiano, e all’estremo oriente, è vitale per la nostra economia e va difeso ad ogni costo. 

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