La neutralità svizzera: identità nazionale e ripercussioni geopolitiche in un’Europa in mutamento

In un’epoca di turbolenze geopolitiche e conflitti internazionali, la Svizzera si trova di fronte a dilemmi inediti che mettono alla prova il suo storico impegno per la neutralità. Tra radicate tradizioni di mediazione e le pressanti esigenze di un’Europa in mutamento, il paese alpino esplora vie per mantenere il proprio ruolo unico sullo scenario mondiale, equilibrando la sua eredità con la necessità di adattarsi a un nuovo ordine globale.

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Breve contesto storico della neutralità svizzera

La neutralità della Svizzera rimonta al Trattato di pace di Vestfalia del 1648. Essa fu tuttavia riconosciuta dalla comunità internazionale solo nel 1815, in occasione del Congresso di Vienna. Stato neutrale, la Svizzera non partecipa a conflitti con e tra altri stati, non fornisce aiuti militari né stringe alleanze di carattere militare.

Col tempo, il concetto di neutralità ha costituito per la Confederazione uno dei principali fattori identitari a livello domestico: mito fondante (non l’unico) sottratto alla temporalità.

L’aggressione russa all’Ucraina ha però dato vita in seno alla Confoederatio a un dibattito sulla utilità della neutralità in siffatto contesto geopolitico. Sul piano esterno sono inoltre numerose le pressioni affinché la Svizzera partecipi direttamente o indirettamente allo sforzo occidentale di armare l’Ucraina. L’attuale situazione di incertezza pone quindi il Paese, posto nel cuore pulsante del continente europeo, davanti a pressanti interrogativi in merito a se stesso: la Svizzera teme di doversi aggiornare.

La neutralità svizzera come identità e la sua storia

La natura stessa della Confederazione e della sua identità derivano da una secolare dialettica con l’Europa, oscillante tra due condizioni: una di fitte relazioni col continente, l’altra di netta separazione.

 La mitologia fondativa del Paese rimonta al 1291, quando i rappresentanti dei cantoni Uri, Svitto e Untervaldo si riunirono per giurarsi fedeltà e mutua assistenza. L’episodio, detto Giuramento del Grütli, romanzato e rimaneggiato nei secoli, ha avuto grande importanza nella narrazione storica del Paese e nella formazione di una identità svizzera connotata dal federalismo e dal concetto di unità tra i diversi cantoni.

La pace di Vestfalia pone fine nel 1648 alla Guerra dei trent’anni. Le trattative vedono coinvolta anche la Confederazione che non aveva partecipato al conflitto[1]. Da quel momento la Svizzera, affrancandosi almeno in parte dall’impero asburgico con la Esenzione di Münster, inizia il percorso che la porterà dal punto di vista concettuale ad emanciparsi dal diritto universalistico imperiale romano germanico per relazionarsi al moderno diritto particolaristico dei popoli e delle nazioni, di stampo francese.

Nel Settecento il Paese, confederazione cuscinetto tra Francia e Impero Asburgico, vide la sua ufficiosa neutralità costantemente legittimata dal Re Sole Luigi XIV. Il sovrano francese la coinvolgeva costantemente nelle trattative di pace tra i vari contendenti europei. E spesso questi trattati venivano stipulati sul suolo elvetico, garante di imparzialità e credibilità. In quel periodo il potere in Europa va configurandosi sempre maggiormente nelle forme dello stato centralizzato, ma in Svizzera la dieta non è sovrana e ogni cantone lo è in maniera autonoma, gelosamente.

È Napoleone Bonaparte a forzare la mano: nel gennaio 1798 le truppe francesi marciano sul Canton Vaud e proclamano la Repubblica Elvetica, una e indivisibile, dotata di un governo, un parlamento e una costituzione nazionali, con i cantoni a costituire semplici unità amministrative. Ma è lo stesso Bonaparte, solo 5 anni dopo, con l’Atto di mediazione del 1803, a ristabilire la piena sovranità cantonale, combinandola con istituzioni statali. Intuendo l’importanza di questo Sonderfall, caso speciale al centro dell’Europa, Napoleone crea inoltre l’assetto territoriale odierno, integrando i cantoni San Gallo, Grigioni, Argovia, Turgovia, Ticino e Vaud.

Con il crollo della potenza bonapartista, furono le potenze europee riunite a Vienna nel 1815 a decretare il destino del Paese. L’organizzazione napoleonica fu respinta: il Patto federale del 1815 ridette autonomia ai cantoni e vennero ripristinati antichi rapporti di sudditanza, provocando di conseguenza anche aspre contrapposizioni fra Berna e i cantoni centrali.

La Svizzera divenne ufficialmente un cuscinetto neutrale nel cuore dell’Europa, capace però di difesa armata. Garantendo i nuovi equilibri continentali, contribuiva alla nuova pax europea.

Le rivoluzioni del 1848 portarono al definitivo sanzionamento della moderna Svizzera neutrale: viene promulgata la costituzione elvetica base dello stato confederale moderno. L’eredità napoleonica fu riattualizzata: Le riforme del Bonaparte e l’Atto di Mediazione fornirono un modello su cui si basò la nuova costituzione, promuovendo l’equilibrio tra autonomia cantonale e potere federale. Tale bilanciamento caratterizza lo stato svizzero ancora oggi. Nelle due guerre mondiali la Svizzera resta neutrale. Durante tali conflagrazioni, il fatto di sentirsi in qualche modo isola nel mare in tempesta dell’Europa contribuì alla definitiva affermazione domestica dell’eccezionalismo svizzero. Ciononostante, il Paese fu sottoposto a sfide e tensioni nel corso di entrambi i conflitti. Durante la Prima guerra mondiale, la Confoederatio dovette fronteggiare una forte polarizzazione interna, che rifletteva le simpatie contrapposte della maggioranza svizzero-tedesca per le potenze centrali, in particolare per il Reich germanico, e della Romandia per la Francia e il suo alleato inglese. Il discorso di Carl Spitteler a Zurigo nel 1914 fu fondamentale per ricordare l’importanza della neutralità e dell’unità attorno alla bandiera svizzera, al fine di non divenire mero strumento degli altrui interessi.

Nella Seconda guerra mondiale[2], la Svizzera non affrontò lo stesso rischio di divisione interna, nonostante fosse accerchiata dalle potenze dell’Asse. La coesione nazionale fu rafforzata sotto la guida del generale Henri Guisan, che teorizzò la tattica del “ridotto” alpino, strategia ideata per fronteggiare eventuali invasioni. Il ridotto alpino si dimostrò un deterrente efficace contro le mire straniere, mantenendo la Svizzera unita e relativamente intatta al termine del conflitto. Tuttavia il costante barcamenarsi del Paese tra le potenze europee in guerra portò anche a strategie e ambiguità che furono poi oggetto di severe critiche, soprattutto americane, nel Dopoguerra: più di 20.000 ebrei in fuga dal Reich nazista furono respinti alla frontiera, con la controversa giustificazione che “la piccola scialuppa di salvataggio fosse piena”[3]. Oltretutto, nonostante la minaccia esistenziale rappresentata dalla Germania nazista, la Svizzera permise il transito di forniture militari e commerciali che supportavano lo sforzo bellico tedesco. La Banca Nazionale Svizzera acquistò anche significative quantità di oro che la Germania aveva saccheggiato da altre banche centrali e, in misura minore, da vittime private. Nonostante queste controversie e i loro numerosi strascichi, il concetto di neutralità permanente si confermò così come principio base della strategia geopolitica svizzera e della sua coesione nazionale[4], permettendo al Paese di emergere dalla guerra senza subire danni significativi, pronto per una nuova fase di ricostruzione economica nel contesto della guerra fredda.

 Riassumendo, furono i concetti di neutralità, il sistema della milizia, la volontà di difendersi, l’operosità, la solidarietà nella differenza di lingua e confessione religiosa, a costituire il sistema valoriale alla base della pedagogia nazionale elvetica. Il concetto di neutralità attiva, variamente declinato a seconda delle circostanze, costituisce il paradigma geopolitico della Svizzera dal 1848 a oggi. La Svizzera aderisce all’Onu solo nel 2002 e non fa parte né della Nato né della Ue, pur essendo un Paese fondamentalmente occidentale, legato al sistema atlantico.

Benefici della neutralità

La neutralità ha permesso alla Svizzera di svolgere importanti ruoli di mediazione in conflitti internazionali. Il Paese infatti pratica i “buoni uffici”, come la promozione della pace e le azioni umanitarie, intendendoli come strumenti atti a dare credibilità a sé e alla propria neutralità. La stessa scelta di Ginevra come sede delle Nazioni Unite dal 1945 (e prima della wilsoniana Società delle Nazioni) conferisce al Paese tale credibilità, come la stessa fondazione della Croce Rossa Internazionale ad opera di Henry Dunant nel 1863. Fu proprio la Croce Rossa a dare al Paese la possibilità di esercitare un ruolo di mediazione internazionale in funzione della sua neutralità permanente. Sorsero così a Berna l’Unione telegrafica internazionale (1865), l’Unione postale universale (1874), l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (1893) e l’Ufficio centrale dei trasporti ferroviari internazionali (1893), diretta conseguenza della costruzione della galleria del San Gottardo (1882) che diede un contributo decisivo all’integrazione dei Paesi europei.

Importante il ruolo svizzero nella risoluzione dei conflitti: nel 1953 146 militari elvetici furono inviati in Corea dopo l’armistizio, per controllare il rimpatrio dei prigionieri di guerra e sorvegliare la effettiva applicazione delle clausole armistiziali. A tutt’oggi cinque militari elvetici sono impegnati sulla linea di demarcazione militare.  Nel 1980 gli Usa incaricarono la Svizzera di rappresentare gli interessi statunitensi in Iran. Dal 1996 la Svizzera partecipa al Partenariato per la pace (PfP) in ambito NATO. Il Corpo svizzero di aiuto umanitario (CSA) conta circa 700 esperti e può intervenire in caso di catastrofe umanitaria o di conflitto.

La messa in discussione della neutralità svizzera

La guerra in Ucraina ha avuto un impatto profondo sulla politica di sicurezza europea, spingendo anche la Svizzera a interrogarsi sul proprio ruolo e sul significato della sua neutralità in un contesto globale sempre più interconnesso e turbolento. Berna, pur mantenendo formalmente la sua neutralità, ha adottato una posizione più attiva, condannando l’invasione russa dell’Ucraina e allineandosi alle sanzioni imposte dall’Unione Europea. Questo segnale di solidarietà internazionale riflette una nuova consapevolezza della necessità per la Svizzera di contribuire alla sicurezza europea e di cooperare con organizzazioni internazionali come la NATO, nonostante le storiche reticenze dovute al proprio status neutrale.

Inoltre la Svizzera sta modernizzando i propri mezzi di difesa, orientando la sua politica di sicurezza verso una maggiore cooperazione internazionale. L’acquisizione di nuovi sistemi di deterrenza militare, quali gli aerei F-35 e le batterie missilistiche Patriot, non solo rafforza la capacità difensiva degli elvetici ma crea anche opportunità di interoperabilità e cooperazione con Paesi alleati, Italia compresa.

La guerra in Ucraina e l’allargamento della NATO con l’adesione di Svezia e Finlandia hanno sollevato interrogativi nel Paese circa la sostenibilità della neutralità come politica isolazionista, in un mondo caratterizzato da minacce transnazionali e da una crescente interdipendenza tra stati.

Sul fronte esterno, le pressioni che mettono in discussione l’interpretazione del concetto svizzero di neutralità provengono principalmente da organizzazioni internazionali come la Nato e l’Unione Europea, così come da alcuni Paesi vicini e partner internazionali. La questione della riesportazione di materiale bellico svizzero verso l’Ucraina è stata particolarmente pressante da parte da stati come Germania, Spagna e Danimarca, mostrando un crescente interesse internazionale per una revisione dell’interpretazione svizzera della neutralità in un contesto di sicurezza mutato.

La Svizzera si trova quindi a un bivio, costretta a bilanciare il proprio impegno storico per la neutralità con la necessità di rispondere in modo efficace alle sfide contemporanee. Il dibattito interno sulla neutralità, intensificatosi a seguito della crisi ucraina, riflette le tensioni tra l’adesione a un principio storico e la necessità di adattarsi a un contesto internazionale in rapido cambiamento. La decisione di Berna di partecipare attivamente alla sicurezza europea, pur mantenendo il proprio status di neutralità, indica una ricerca di equilibrio tra tradizione e innovazione, tra isolazionismo e cooperazione internazionale.

Sintetizzando, la messa in discussione della neutralità svizzera in un’era di incertezza geopolitica evidenzia la complessità di navigare tra principi storici e realtà contemporanee. La Svizzera, con il suo approccio pragmatico e la sua volontà di adattarsi, dimostra che anche le politiche più radicate possono evolvere in risposta alle sfide globali, mantenendo al contempo l’essenza dei valori nazionali.


[1] Croxton Derek, Tischer Anuschka, The Peace of Westphalia: A Historical Dictionary, Greenwood Press, 2002.

[2] Kreis Georg, Switzerland and the Second World War, Frank Cass Publishers, 2000.

[3] https://www.swissinfo.ch/ita/politica/rifugiati-ebrei_-la-barca-%c3%a8-piena-75-anni-dopo/43540644

[4] Church Clive H., The Politics and Government of Switzerland, Palgrave Macmillan, 2003.

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