L’intelligenza artificiale, nel corso degli ultimi 5 anni, ha subito una significativa accelerazione evolutiva e funzionale: non più e non solo frontiera tecnologica, ma autentico elemento chiave e struttura di potere nell’arena geopolitica in cui agiscono le grandi potenze globali.
Il confronto Usa-Cina-Europa sul tema IA mostra traiettorie divergenti a livello di modelli sviluppati, brevetti concessi, pubblicazioni scientifiche, investimenti privati e regolamentazione normativa.
In questi scenari, l’Italia risulta pressoché assente, un Paese marginale, che assiste, ma non orienta, che pubblica, ma non possiede; un Paese non in grado di cogliere l’occasione offerta da questo progresso tecnologico per affrontare e gestire il suo principale problema strategico: il declino demografico.
Questo articolo si propone di analizzare lo stato dell’arte dello sviluppo delle tecnologie di intelligenza artificiale nel mondo1 e di capire come l’Italia ne possa trarre vantaggio.
I dati del potere: geopolitica dell’intelligenza artificiale dal 2020 al 2025
Cerchiamo ora di delineare un quadro comparato dell’equilibrio tra i grandi attori mondiali in ambito IA partendo dal grande protagonista del settore: gli Stati Uniti d’America.
Quaranta dei primi cento modelli di punta di IA realizzati nel 2024 sono stati sviluppati negli Usa. Con 109,1 miliardi di dollari di investimenti privati nel settore nel solo 2024 la nazione americana sopravanza di 12 volte la Cina e di 24 il Regno Unito. Sebbene nel 2023 gli Stati Uniti abbiano rappresentato solo il 9,2% delle pubblicazioni scientifiche globali in ambito IA, contro il 23,2% della Cina, si confermano nettamente primi per qualità dell’impatto scientifico, con il maggior numero di articoli inclusi tra i cento più citati a livello mondiale. La leadership statunitense si estende anche all’IA generativa, ai semiconduttori e alla BIO-IA (biologia, genomica, medicina), grazie a un’infrastruttura di ricerca e sviluppo guidata principalmente da soggetti privati: Big Tech, fondi di venture capital e a strutture federali come la DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency).
Volgiamo ora lo sguardo al principale competitor degli States: la Cina. Pechino è prima come già evidenziato poc’anzi per numero di pubblicazioni scientifiche del 2023 con il 23,2% del totale. È seconda a livello di modelli IA di punta, ne ha realizzati 15, contro i 40 americani. A fronte di un calo degli investimenti privati nel 2024 (9,3 miliardi di dollari, in diminuzione rispetto agli anni precedenti anche a causa delle restrizioni americane sulla esportazione di semiconduttori di ultima generazione), la Repubblica Popolare Cinese continua a sostenere un’intensa attività industriale nei settori applicativi dell’IA, con particolare attenzione alla robotica, alla sorveglianza e ai sistemi edge: capaci in sintesi di elaborare i dati direttamente nei dispositivi, senza passare per il cloud (vedi ad esempio i droni avanzati di ultima generazione).
L’Europa, potenza del tutto teorica, in assenza di un’integrazione sistemico-sinergica paragonabile a quella di Pechino e Washington, ha messo a punto solo tre modelli IA di punta nel 2024 con Francia e Germania. Il continente europeo vanta il 15.2% delle pubblicazioni sull’IA nel 2023, secondo dopo Cina e prima degli Stati Uniti, ma sconta una forte frammentazione tra stati e sistemi. Si posiziona seconda anche a livello di investimenti privati nel 2024, con 19,4 miliardi di dollari. Nel quadro degli stati europei l’Italia non ha realizzato alcun modello IA di punta, vanta 0,9 miliardi di dollari in investimenti nel 2024, e circa l’1,2 per cento delle pubblicazioni sull’IA nel 2023.
Concludiamo questa mappatura iniziale della IA con una considerazione: la geopolitica della intelligenza artificiale è un aspetto fondamentale nel quadro dell’equilibrio di potere mondiale; essa segnala non solo dove si concentra la leadership tecnologica, ma dove risiede la capacità di decidere i parametri della realtà futura.
L’Italia tra ricerca accademica e deserto industriale
Nel panorama mondiale, il nostro Paese si colloca tra quelli che contribuiscono alla generazione di conoscenza in IA, ma non la capitalizzano. I ricercatori italiani pubblicano articoli e volumi, ma il Paese non costruisce modelli IA di alcun genere, non produce brevetti, non allestisce infrastrutture, non sviluppa tecnologie proprietarie. Assistiamo quindi a una scissione strutturale tra sapere e potere.
Analizziamo ora in profondità il posizionamento italiano nei principali indicatori IA nell’ultimo quinquennio, partendo dalla produzione scientifica sul tema: l’Italia ha mantenuto una quota marginale, circa l’1,2/1,5% del totale globale. Su 242.000 articoli sulla IA pubblicati nel mondo, il nostro contributo si attesta intorno ai 2.900. Siamo fuori dalla top 15 mondiale per volumi pubblicati e tantomeno figuriamo tra i Paesi con pubblicazioni IA più citate. Le pubblicazioni italiane sono quasi esclusivamente di natura accademica, oltre l’89% nel 2023, con un contributo quindi assai scarno da parte del settore privato. Alcuni ricercatori attivi in Italia, come ad esempio Cucchiara, Pelillo, De Giacomo, godono di riconoscimento internazionale in settori come symbolic AI e computer vision, ma questo avviene in assenza di una infrastruttura organizzativa e finanziaria in grado di trasformare queste eccellenze individuali in un ecosistema nazionale competitivo.
E infatti la ricerca industriale sul settore è molto limitata, sia rispetto agli altri stati europei che rispetto ai principali player mondiali: solo il 3-4% delle pubblicazioni italiane proviene dal settore privato, meno di 100 articoli. Nel Regno Unito sono circa l’11,8%, in Francia il 10,2%, negli Usa il 16,5%. Risulta pertanto limitato il numero di imprese attivamente coinvolte nel settore della produzione scientifica IA. Stesso discorso si può fare per i modelli, per quanto ne esistano di vario tipo, il loro utilizzo è estremamente limitato. Le stesse aziende italiane utilizzano per il 75/85% modelli americani e solo per il 10/15% modelli italiani.
Altrettanto trascurabile la produzione di brevetti, infatti siamo fuori dalla top 15 mondiale. Nel 2023 meno dell’1% dei brevetti IA globali era di provenienza italiana. La Cina era al 61%, gli Usa al 20,9, il Regno Unito al 2 e la Francia all’1,5.
Siamo sostanzialmente consumatori di IA, non produttori. Impieghiamo tecnologie sviluppate altrove senza alcun nostro controllo su codici, dati, infrastrutture; in sostanza siamo un Paese con una sovranità estremamente limitata nel settore. La ricerca non si traduce in proprietà e l’innovazione in potere.
Le tre dimensioni dell’innovazione: pubblicazioni, brevetti, modelli
Approfondiamo adesso come il potere sull’industria dell’intelligenza artificiale sia dato dalla combinazione di tre dimensioni: produzione di conoscenza (pubblicazioni), protezione giuridica (brevetti concessi), costruzione operativa (modelli).
In base ai dati sopradescritti emerge che l’Italia, dal punto di vista di queste tre dimensioni è un Paese con grandi lacune, infatti nessuna organizzazione nazionale ha rilasciato modelli open source rilevanti, né ha partecipato allo sviluppo di modelli ad alto impatto.
Senza il controllo su modelli e brevetti non si fissano standard, non si creano ecosistemi, non si ottengono vantaggi strategici. La stessa produzione scientifica, se avulsa dalla proprietà e dalla trasformazione applicativa, resta sterile e non funzionale geopoliticamente. Scriviamo, ma non brevettiamo, sperimentiamo, ma non modelliamo, pubblichiamo, ma non possediamo. La nostra marginalità, come vedremo nel prossimo paragrafo, non è solo una questione di numeri, si traduce anche in una mancanza di direzione e di strategia: le grandi potenze utilizzano la IA per rafforzare ed implementare settori chiave, noi non sappiamo dove puntare.
Dove agisce l’IA: i settori prioritari per le grandi potenze
Ogni Paese dotato di consapevolezza di sé sviluppa una sua politica della IA coerente con la propria traiettoria industriale, geopolitica e sociale. È pertanto consequenziale rendersi conto che l’IA non è una tecnologia passiva, bensì un acceleratore delle scelte e delle traiettorie politiche e industriali già esistenti.
Passiamo adesso ad analizzare queste traiettorie:
Stati Uniti: si focalizzano sull’innovazione profonda, centrata sulla potenza computazionale e sulla artificial general intelligence (AGI), con una leadership forte in Foundation Models, hardware e acceleratori computazionali, IA generativa. Il punto di forza del sistema statunitense rimane il suo ecosistema di start up, di fondi di venture capital e la grande attività delle sue università.
L’utilizzo statunitense dell’IA si distribuisce in modo trasversale su sanità, biotecnologie, finanza, difesa, intelligence, cybersicurezza e logistica. L’ecosistema è alimentato dalle Big Tech, dai fondi di venture capital e dalla DARPA. Particolare attenzione è rivolta allo sviluppo di modelli capaci di spiegare i propri processi decisionali (explainability), di mantenere comportamenti allineati agli obiettivi umani (alignment) e di integrare informazioni provenienti da diverse modalità sensoriali o linguistiche (multimodality).
Cina: Pechino si applica intensivamente in direzione della sorveglianza, dell’automazione urbana e del controllo. Le priorità tecnologiche riguardano il riconoscimento facciale, la visione artificiale per la sorveglianza urbana, le infrastrutture delle smart cities, la robotica industriale e la logistica intelligente. Particolare attenzione è rivolta agli edge AI, sistemi capaci di elaborare dati direttamente nei dispositivi locali, rendendo più efficace e capillare il monitoraggio dei flussi umani e produttivi. L’automazione su vasta scala diventa uno strumento diretto di efficientamento e sostegno al PIL, nonché di rafforzamento del potere statale.
Francia: si concentra su settori che ritiene strategici per la propria sovranità nazionale, Difesa, sanità e modelli linguistici francofoni. E lo fa attraverso una forte presenza statale che si concretizza in programmi come il Plan A (il programma strategico francese per lo sviluppo nazionale dell’intelligenza artificiale) e i Cluster IA (poli tecnologici nazionali specializzati in IA, nati per accelerare innovazione, trasferimento tecnologico e collaborazione pubblico-privato). In questo modo Parigi investe nella messa a punto di modelli di punta come Mistral e Bloom e nella ricerca, applicata a settori come l’imaging medico, la diagnostica predittiva e la simulazione militare. Assai sentita è inoltre l’importanza di preservare l’indipendenza culturale della nazione, riducendo, attraverso modelli linguistici francesi, la dipendenza culturale e linguistica dall’anglosfera.
Regno Unito: punta a diventare leader nella regolazione dell’IA, concentrandosi parallelamente su sanità pubblica e finanza. Attraverso istituzioni come The Alan Turing Institute e iniziative politiche come il UK AI Safety Summit 2023, Londra si posiziona su temi di alta complessità regolativa: explainable AI (intelligenze artificiali trasparenti nei loro processi decisionali), AI audit (controlli esterni sulla conformità degli algoritmi) e fairness (equità algoritmica). Parallelamente, l’integrazione dell’IA nei servizi del National Health Service e nel settore della financial technology rende il Regno Unito un laboratorio di applicazione avanzata in sanità e finanza.
In questo contesto di grande specializzazione l’Italia fatica a definire una sua strategia per lo sviluppo di questa industria sul territorio nazionale. L’adozione dell’intelligenza artificiale si presenta infatti frammentata, con impieghi potenzialmente promettenti in ambiti come la sanità pubblica, la manifattura meccanica, il turismo, l’agricoltura di precisione e la cybersecurity. Esistono progetti isolati di rilievo come l’utilizzo dell’AI per la diagnosi oncologica o nei sistemi predittivi applicati alla pubblica amministrazione, ma questo avviene in assenza di una visione d’insieme, di piattaforme comuni e di cluster industriali strutturati come ad esempio nella vicina Francia.
Ma non si tratta solo di una questione di specializzazione e indirizzi. Si tratta come vedremo nel prossimo paragrafo, di una questione di tempo e di futuro. L’inverno demografico incombe sul nostro Paese, l’Italia invecchia, rallenta, si svuota. Può l’IA avere un ruolo per invertire la tendenza?
Demografia ed AI: il caso italiano come laboratorio critico
L’Italia si trova di fronte a una crisi demografica profonda, che ne mette in discussione le fondamenta produttive e sociali. Con un tasso di natalità tra i più bassi d’Europa e una previsione di perdita di circa cinque milioni di abitanti entro il 2050, il Paese rischia una contrazione permanente della sua popolazione attiva. L’invecchiamento avanza rapidamente: già prima della metà del secolo, l’età media italiana supererà i cinquanta anni. Questo mutamento silenzioso agisce inesorabilmente sull’economia e sulla società, riducendo la produttività e la crescita, aumentando la pressione fiscale, ampliando il peso del welfare e restringendo progressivamente il bacino della forza lavoro.
In questo contesto, l’intelligenza artificiale rappresenta un possibile moltiplicatore di produttività. Le sue applicazioni possono intervenire su diversi fronti strategici: nell’automazione della manifattura, per mantenere la competitività industriale a fronte della riduzione della forza lavoro; nel potenziamento della sanità assistita, grazie al monitoraggio remoto dei pazienti e all’analisi predittiva delle esigenze cliniche; nell’ottimizzazione della gestione pubblica, attraverso modelli predittivi capaci di anticipare la domanda di servizi socio-assistenziali e di pianificare l’impiego delle risorse; nella formazione continua personalizzata, per accelerare la riqualificazione dei lavoratori in un mercato in rapido cambiamento; nell’agricoltura di precisione, migliorando la produttività agricola con un impiego più efficiente di forza lavoro e risorse naturali.
Questi impieghi non possono invertire la tendenza demografica, ma possono contribuire a contenere l’impatto economico e sociale derivante dalla contrazione della popolazione attiva. L’intelligenza artificiale offre strumenti concreti per mantenere margini di crescita e stabilità, in un contesto in cui la pressione sulle strutture produttive e sociali è destinata ad aumentare.
Tuttavia, anche il massimo sfruttamento delle potenzialità tecnologiche non basta a compensare integralmente il calo demografico. Per preservare la capacità produttiva e garantire la tenuta sociale, sarà necessario agire anche sul fronte della composizione della popolazione attiva. La questione migratoria, da questo punto di vista, non può più essere affrontata come una mera gestione emergenziale dei flussi: deve essere ripensata come una costruzione consapevole di nuova cittadinanza. E anche qui l’IA può offrire strumenti determinanti.
Oltre l’integrazione: intelligenza artificiale ed assimilazione. Per una nuova cittadinanza condivisa
Di fronte al declino demografico, l’Italia non può limitarsi a compensare il calo naturale della popolazione attraverso la semplice e peraltro spesso poco organica integrazione dei flussi migratori. L’integrazione economica, per quanto necessaria, non basta: senza una costruzione solida di cittadinanza, il rischio è di alimentare frammentazione sociale, tensioni latenti e perdita di coesione nazionale. Non si tratta solo di accogliere: si tratta di assimilare. Di trasformare le seconde generazioni dei nuovi arrivati in cittadini partecipi, non in presenze ai margini del tessuto sociale.
In questo percorso, l’IA può giocare un ruolo strategico. Essa infatti, se opportunamente orientata, può facilitare il controllo dei flussi migratori illegali. Può accelerare l’apprendimento linguistico, adattandolo ai livelli individuali e ai contesti territoriali. Può supportare percorsi di formazione professionale rapida, calibrati sulle esigenze reali del mercato del lavoro locale. Può rendere più efficaci le strategie di educazione civica, facilitando l’accesso consapevole ai diritti e ai doveri della cittadinanza.
L’adozione di questi strumenti non può essere lasciata alla spontaneità del mercato o alla buona volontà dei singoli. Occorre una regia pubblica, capace di integrare tecnologie educative, politiche formative e percorsi di assimilazione in un’unica strategia nazionale. Senza questo disegno, il Paese rischia di mascherare il proprio inverno demografico dietro numeri fittizi, senza risolvere i problemi strutturali di tenuta sociale ed economica.
L’intelligenza artificiale, se indirizzata verso un progetto di adesione attiva a valori comuni, può essere un moltiplicatore concreto nella costruzione di cittadinanza sostanziale. In questo senso, il modello romano di cittadinanza può offrire ancora una lezione attuale: non un’appartenenza basata sulle origini etniche, ma su una partecipazione piena a un sistema di valori condiviso ed a un comune modo di vivere. Assimilare significa, oggi come allora, trasformare chi arriva in cittadini pienamente consapevoli, partecipi e coesi.
Affrontare in modo strutturato l’impatto dell’inverno demografico, richiede un insieme coordinato di interventi che integri tecnologia, formazione, produttività e gestione dei servizi. L’intelligenza artificiale, utilizzata in modo funzionale a questo obiettivo, può contribuire a mantenere livelli adeguati di capacità economica e coesione sociale. Ed è su queste basi che possiamo definire una roadmap operativa che indichi le priorità di intervento da qui al 2035.
Obiettivo 2035: una roadmap italiana
Affrontare l’inverno demografico non significa rincorrere soluzioni estemporanee. Richiede una programmazione che sappia intervenire simultaneamente su più fronti, utilizzando l’intelligenza artificiale come ausilio per mantenere la capacità produttiva, garantire l’efficienza dei servizi e sostenere la coesione sociale. Si propongono, entro il 2035, sei assi di intervento prioritari.
- controllo dei flussi migratori: occorre usare sistemi tecnologici avanzati al fine di controllare gli accessi illegali al Paese dalla sponda sud del Mediterraneo, selezionare i migliori profili e i migliori talenti nell’ottica di creare le migliori condizioni affinché questi restino in Italia e sia possibile influenzarne la formazione politica e civile.
- automazione produttiva: occorre favorire l’adozione di sistemi IA nella manifattura avanzata, nella logistica e nell’agricoltura di precisione, per compensare la riduzione della forza lavoro e mantenere livelli adeguati di produttività industriale.
- sanità predittiva e assistita: l’intelligenza artificiale deve essere impiegata per il monitoraggio remoto dei pazienti, la gestione predittiva delle patologie croniche e l’ottimizzazione dell’uso delle risorse sanitarie, migliorando l’efficienza complessiva del sistema.
- formazione continua personalizzata: piani di formazione costante basati su piattaforme IA possono contribuire a mantenere l’adeguamento delle competenze lavorative in relazione ai cambiamenti tecnologici, riducendo gli effetti della contrazione demografica sul mercato del lavoro.
- assimilazione dei nuovi cittadini: l’IA può essere utilizzata per facilitare l’apprendimento linguistico, l’inserimento lavorativo e l’accesso consapevole ai diritti e doveri civici, favorendo l’integrazione piena all’interno della comunità nazionale.
- gestione predittiva dei servizi pubblici: attraverso modelli IA capaci di anticipare la domanda assistenziale, educativa e sanitaria, è possibile ottimizzare l’allocazione delle risorse, migliorando la capacità di risposta delle amministrazioni in un contesto di pressione fiscale crescente.

L’attuazione di questi assi dovrebbe avviarsi già nel 2025, con i primi programmi pilota sui controlli dei flussi migratori, sull’automazione produttiva e la sanità predittiva, per poi estendersi progressivamente tra il 2026 e il 2034 ai campi della formazione, della gestione dei servizi pubblici e dell’assimilazione. Entro il 2035, una valutazione complessiva potrà verificare gli effetti sulle dinamiche demografiche, sulla capacità produttiva e sull’organizzazione dei servizi.
Governare l’intelligenza artificiale: una questione di autonomia nazionale
L’Italia, di fronte a questa innovazione dirompente, non dispone del tempo né del margine di errore delle grandi potenze. La combinazione di declino demografico, debolezza tecnologica e assenza di visione strategica impone una scelta netta: adattarsi o scomparire come attore autonomo. Non esiste innovazione senza controllo tecnologico, né cittadinanza senza un nucleo comune di valori e obiettivi. L’intelligenza artificiale può offrire strumenti operativi per rispondere a queste sfide, ma resta uno strumento: è la politica, e solo la politica, a doverne definire il senso e l’uso. Ritrovare una traiettoria nazionale nell’epoca dell’IA significa riscoprire la capacità di decidere su se stessi e non essere semplicemente plasmati da forze esterne. L’alternativa, nel nuovo ordine globale forgiato dall’IA, è l’irrilevanza.