Harris vs. Trump: due facce della stessa medaglia?

Nonostante le differenze retoriche, Harris e Trump condividono un obiettivo comune: proteggere l’industria americana. Le loro politiche commerciali, apparentemente opposte, convergono più di quanto si creda

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Harris vs trump
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La data fissata per le elezioni presidenziali si avvicina inesorabilmente e i candidati, supportati dalle rispettive macchine elettorali, si apprestano ad affrontare l’ultimo miglio prima della disfida finale. Quella che si è rivelata essere una delle campagne elettorali più singolari e drammatiche della storia americana ha visto il ritorno delle politiche commerciali al centro della scena. Una domanda si para dinanzi all’osservatore attento: di quanto differiscono, posto che lo facciano, le proposte di Donald Trump rispetto al solco tracciato dall’amministrazione uscente, di cui l’attuale vicepresidente dovrebbe rappresentare la continuità naturale?

Non è un’eresia affermare che le politiche protezionistiche non sono un’esclusiva del tycoon newyorkese ma che, al contrario, rappresentano una tendenza netta e crescente in seno ai governanti statunitensi, a prescindere dal proprio colore politico. Tale comunità di intenti non deve rappresentare una sorpresa: gli States hanno sempre dimostrato una straordinaria capacità di indirizzare gli sforzi della nazione verso quelli che individuano essere gli obiettivi o gli avversari strategici, anche se ora tale caratteristica risulta appannata a causa delle molteplici fratture interne. Ma le debolezze e le lacerazioni che permeano il tessuto sociale ed economico dell’(ex?) egemone globale non sono tali da appannare il suo giudizio. Giudizio che individua nella Cina il proprio avversario strategico e nella re-industrializzazione dell’economia a stelle e strisce una ricetta atta a far rinascere la working class, marchio lucente del mito e della prosperità americana per buona parte del Novecento.

La vulgata vuole Trump come il campione del ritorno a politiche protezionistiche e daziare. Molto rumore avevano provocato le misure intraprese tra il 2018 e il 2019, volte all’introduzione progressiva di barriere tariffarie verso la Cina sulla pressoché totalità dei beni importati negli USA: da un iniziale dazio del 30-50% su prodotti tecnologici come pannelli solari e lavatrici[1] si è passati rapidamente ad una vera e propria guerra economica combattuta a suon di dazi incrociati. Ancora più scalpore, soprattutto sulla sponda orientale dell’Atlantico, aveva provocato la decisione di intraprendere politiche tariffarie aggressive anche verso partner commerciali e alleati strategici, come i dazi del 25% e del 10% applicati rispettivamente ad acciaio e alluminio, sia nei confronti dei membri del fu NAFTA[2] (Canada e Messico) che dell’Unione europea[3]. Azione che fu anche un’aperta violazione delle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization-WTO)[4]. Schiaffo sonoro agli economicistici Paesi veterocontinentali che si crogiola(va)no nell’ora ossimorico libero mercato figlio della globalizzazione made inUSA. Ossimorico perché lo stesso soggetto promotore del libero mercato globale ne sta ora minando le basi per la salvaguardia del proprio interesse nazionale. Nonostante le misure su acciaio e alluminio siano state in un secondo momento riviste, prima nei confronti di Canada e Messico, ancora con Trump al potere e poi verso Unione Europea, Gran Bretagna e Giappone con Biden, la portata dell’atteggiamento protezionistico dell’amministrazione Trump non deve ingannare: gli USA erano già da tempo entrati in una fase di allontanamento dal libero mercato[5].

Il sorgere di un rivale strategico e la crisi interna derivata dall’impoverimento della classe lavoratrice come grandi temi della politica americana.

Non è una novità recente che Pechino venga percepita da Washington come una minaccia al proprio primato globale. Dal celeberrimo pivot to Asia dell’allora presidente Barack Obama, tutte le successive amministrazioni hanno mantenuto come obiettivo strategico il riassetto dell’economia e della presenza militare verso un contenimento della Repubblica popolare ed un progressivo abbandono della dipendenza da essa sia in termini industriali che economici. I concetti di derisking, decoupling e friendshoring sono tutti meccanismi pensati e volti a ridurre la dipendenza del mercato americano dalla poderosa macchina industriale cinese e a spostare le catene produttive verso lidi considerati più amichevoli. Partendo da questa base, è naturale pensare che uno degli strumenti principali per “forzare la mano” al mercato sia l’applicazione di barriere tariffarie all’importazione sui prodotti di origine cinese. I già citati dazi voluti da Trump non sono quindi un caso isolato dovuto all’afflato isolazionista della corrente repubblicana, ma una strategia consapevole e condivisa dalla classe governante americana. Joe Biden non solo non ha eliminato i dazi imposti dal suo predecessore, ma li ha anche incrementati e ha inoltre formalmente contestato le accuse del WTO verso gli Stati Uniti per alcune delle politiche daziarie perseguite dal tycoon[6]. L’attuale amministrazione ha infatti provveduto ad aumentare drasticamente i dazi verso alcuni beni importati dalla Repubblica popolare, come ad esempio, veicoli elettrici (100%), batterie e pannelli solari (50%) e ancora acciaio e alluminio (25%)[7]. Il messaggio è chiaro: la strategia nei confronti della Cina permea i gangli del potere americano.

Si sperimenta una situazione analoga, seppur con metodi e strumenti diversi, per quanto riguarda il difficile, ma potenzialmente lucroso in termini di bottino elettorale, tentativo di rivitalizzare la working class tramite un processo di reindustrializzazione dell’economia americana. Fiumi di inchiostro sono stati consumati per narrare il graduale processo di impoverimento della classe lavoratrice come diretta conseguenza della delocalizzazione delle catene produttive al di fuori dei confini nazionali, con il fine di ricercare un costo del lavoro e della produzione dei beni più ridotto. Anche in questo caso la ricetta sostenuta da Trump contemplava l’applicazione di dazi su beni importati anche da nazioni partner e alleati degli Stati Uniti. Ricordiamo i già citati acciaio e alluminio, oltre alle varie categorie merceologiche di produzione cinese nel mirino. L’attuale amministrazione però, nonostante una retorica ed un clamore forse più ridotto, non si può definire propriamente liberista. Con grande sorpresa dei principali membri del cosiddetto “Occidente esteso”, Biden e il suo team hanno deliberato l’introduzione di misure protezionistiche, sempre volte ad una graduale reindustrializzazione dell’economia americana e alla conservazione di quel tessuto industriale ancora esistente, anche se non sempre applicate sotto forma di dazi all’importazione. L’introduzione dell’IRA (Inflation Reduction Act) nell’agosto del 2022, i cui effetti sulla competitività delle industrie europee hanno suscitato preoccupazione nei leader dei Paesi dell’Unione[8], non rappresenta un caso isolato. In piena campagna elettorale, il governo in carica ha deciso di usare il proprio potere per provare a bloccare l’acquisizione della US Steel, campione americano nella produzione di acciaio, da parte della giapponese Nippon Steel. Decisione pienamente supportata dalla candidata democratica e attuale vicepresidente Kamala Harris[9]. Non si tratta quindi di arginare un tentativo di scalata all’economia statunitense da parte del rivale strategico cinese, ma una manovra per impedire la perdita della proprietà americana su di un asset industriale importante. Poco importa se a discapito del libero mercato e del principale partner nel quadrante del pacifico e membro del QUAD[10], creato proprio come meccanismo di contenimento delle mire cinesi, insieme ad Australia, India e USA stessi. Azione in sintonia con il rivale repubblicano: Trump aveva preso una posizione forte contro l’acquisizione della US Steel già nei primi mesi di campagna elettorale[11].

Cosa aspettarsi quindi dalle politiche commerciali della futura amministrazione?

La fine del conflitto commerciale con la Repubblica popolare non sembra previsto nel breve termine, anche perché funzionale al contenimento del rivale strategico. Trump ha già esternato la volontà di incrementare ulteriormente il livello dello scontro e portare i dazi su alcuni prodotti fino al 100% oltre ad un dazio applicato flat su tutti i prodotti di origine cinese del 10%-20%[12]. Nel campo democratico, Harris ha apertamente criticato la politica commerciale del tycoon anche se, a onor del vero, l’amministrazione in carica non ha eliminato né ridotto le tariffe daziarie verso la Cina imposte da Trump ma, come già ricordato in precedenza, ne ha introdotte di ulteriori. Una leggera diversità di prospettive si può ipotizzare per quanto riguarda le politiche commerciali a difesa dell’industria americana e volte alla parziale reindustrializzazione dell’economia a stelle e strisce. Come già discusso, l’ex-presidente in corsa per la rielezione ha già espresso la sua ricetta durante il primo mandato: politiche daziare incrementali anche nei confronti di partner commerciali e alleati, Unione europea inclusa. Ricetta che ha intenzione di reiterare, come dimostra la proposta di introdurre un dazio del 10% su tutte le merci importate negli USA[13] o la minaccia al produttore di macchinari agricoli John Deere di imporre sui loro prodotti dazi al 200%, nel caso la società portasse a compimento il piano di spostare la produzione di alcuni macchinari dagli Stati Uniti al Messico[14]. Harris si è espressa contro una strategia daziaria indiscriminata ma ha al contempo fortemente sottolineato quanto sia centrale nella propria campagna il sostegno all’anima industriale della nazione[15]. L’attesa è quindi per una continuità con le politiche sostenute e perseguite dall’amministrazione uscente, maneggiando di conseguenza gli strumenti tariffari con un certo grado di diplomazia. Questo aspetto non significa che non verranno comunque prese in futuro ulteriori misure protezionistiche volte a difendere il comparto industriale USA e a reindustrializzare progressivamente la propria economia.


[1] Horowitz J., Gillespie P., Trump slaps tariffs on foreign solar panels and washing machines, “CNN”, 22 gennaio 2018 https://money.cnn.com/2018/01/22/news/economy/us-tariff-washing-machines-solar-cells/index.html

[2] North American Free Trade Agreement. Sostituito a partire dalla seconda metà del 2018 dallo United States-Mexico-Canada Agreement (USMCA).

[3] US steel and aluminium imports face big tariffs, Trump says, “BBC”, 1 marzo 2018 https://www.bbc.com/news/world-us-canada-43249614

[4]  Palmer D., WTO says Trump’s steel tariffs violated global trade rules, “Politico”, 12 settembre 2022 https://www.politico.com/news/2022/12/09/wto-ruling-trump-tariffs-violate-rules-00073282

[5] Hughes C., The free market is dead: what will replace it?,“Time”, 26 aprile 2021 https://time.com/5956255/free-market-is-dead

[6] Palmer D., op cit.

[7] Picciotto R., Biden raises tariffs on 18$ billion of Chinese imports: EVs, solar panels, batteries and more,“CNBC”, 14 maggio 2024 https://www.cnbc.com/2024/05/14/biden-raises-china-tariffs-on-evs-solar-panels-batteries-.html

[8] News Wires, Why EU leaders are upset over Biden’s Inflation Reduction Act,“France 24”, 16 dicembre 2022 https://www.france24.com/en/europe/20221216-why-eu-leaders-are-upset-over-biden-s-inflation-reduction-act

[9] Navarro A., Yilek C., Harris opposes sale of U.S. Steel to a Japanese firm during Pittsburgh event, “CBS News”, 2 settembre 2024 https://www.cbsnews.com/news/harris-campaigns-pennsylvania-biden-us-steel-sale

[10] Dialogo quadrilaterale di sicurezza (in inglese Quadrilateral Security Dialogue).

[11] Gibson B., Trump pledges to block US Steel sale, “Politico”, 31 gennario 2024

https://www.politico.com/news/2024/01/31/trump-us-steel-sale-00138910

[12] Butts D., Harris says Trump ‘sold us out on China’: Highlights from the presidential debate on trade and tariffs, “CNBC”, 10 settembre 2024 https://www.cnbc.com/2024/09/11/harris-vs-trump-on-china-debate-highlights-on-trade-and-tariffs.html

[13] Pichi A., Trump is proposing a 10% tariff. Economists say that amounts to $1,700 tax on Americans, “CBS News”,  20 giugno 2024 https://www.cbsnews.com/news/trump-tariffs-proposal-10-percent-1700-cost-per-us-household

[14] Revell E., Trump says he’ll hit John Deere with 200% tariffs if it moves production to Mexico, “Fox Business”, 24 settembre 2024. https://www.foxbusiness.com/politics/trump-says-hell-hit-john-deere-200-tariffs-moves-production-mexico

[15] Lahart J., Rubin R., Whalen J., Harris puts government intervention at heart of economic policy, “The Wall Street Journal”, 26 settembre 2024. https://www.wsj.com/politics/elections/harris-puts-government-intervention-at-heart-of-economic-policy-f6bdc459

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