«Bond labour» in Pakistan: una forma moderna di schiavitù

Nel Paese, fra i 3,5 e i 4 milioni di persone sono costrette a lavorare in condizioni disumane, normalmente per ripagare debiti che non ripianeranno mai. Il governo non sa (o non vuole) risolvere il problema

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Il Pulitzer Center on Crisis Reporting[1] è una struttura di produzione giornalistica che, con sede a Washington, negli Stati Uniti d’America, si fa giustamente vanto di pubblicare notizie che altri media invece trascurano. Fondato nel 2006, non va confuso con i famosi Premi Pulitzer con cui la Columbia University di New York onora il meglio del giornalismo mondiale, benché entrambi siano intitolati alla memoria di Pulitzer József (1847-1911), l’ungherese che fece carriera in politica e nell’editoria dopo essere diventato cittadino statunitense con il nome di Joseph Pulitzer nel 1867.

Una delle pubblicazioni più recenti del Centro è Bonded by Brick: The Story of Modern-Day Slavery in Pakistan,[2] un documentario di una quarantina di minuti complessivi, diffuso in tre puntate. Lo ha tecnicamente prodotto The Centrum Media (TCM),[3] la prima piattaforma di notizie digitali del Pakistan, lanciata ufficialmente nel gennaio 2017 dopo essere stata fondata nel novembre precedente da Talha Ahad,[4] giornalista multimediale e documentarista. Attivo a Islamabad, in Pakistan, e a Londra, nel Regno Unito, della TCM Ahad è attualmente il CEO. In Bonded by Brick si racconta la malattia sociale che affligge oggi il Pakistan, una odiosa forma endemica di schiavitù moderna che non risparmia praticamente nessuna delle aree rurali o urbane del Paese.

Il titolo del documentario, letteralmente «Legati ai mattoni», veicola l’idea che una delle fattispecie principali della moderna schiavitù pakistana sia legata al lavoro che viene svolto nelle fornaci dove si producono mattoni per costruzioni. Si stima, riporta il documentario, che nel Paese siano più di 3,5-4 milioni le persone impiegate in quello che in lingua inglese è chiamato «bond labour» (o «labor», secondo una grafia alternativa), ovvero lo sfruttamento dei lavoratori costretti a operare come schiavi per ripianare debiti. Di quel numero, circa 20mila sono coloro che lavorano nelle fornaci di mattoni in condizioni durissime e spesso disumane. Non godono infatti di alcuna garanzia o diritto. Vivono incatenati ai luoghi di lavoro, insomma, o agli stessi mattoni che producono.

Ascoltando testimoni diretti, ma anche esperti e avvocati, il film documenta gli instancabili sforzi profusi da Syeda Ghulam Fatima per alleviare le condizioni dei nuovi schiavi, nel tentativo di garantire loro un futuro migliore. Syeda Ghulam Fatima è una nota attivista pakistana per i diritti umani, segretario generale del Bonded Labour Liberation Front Pakistan di Lahore.[5] A causa del proprio impegno, si è vista più volte sparare addosso, è stata torturata con l’uso di scariche elettriche e non si contano le volte che è stata ripagata con le botte.

Le storie raccontate nel documentario hanno tutte dell’incredibile. Per esempio quella di Naveed, un operaio di 17 anni impiegato in uno di quegli incubi. Nella prima delle tre parti del film si racconta che uno dei suoi reni gli sia stato prelevato con la forza dai proprietari della fornace allo scopo di ripagare un debito contratto dalla sua famiglia. Questa pratica sconvolgente illustra del resto come la predazione di organi da esseri umani, che nella Repubblica Popolare Cinese è un’industria fiorente protetta dal regime comunista, sia una piaga che infesta molte aree e diversi Paesi dell’Asia.

La legge. Inutile

Lo «United Nations Global Compact» del 2004[6] è un patto non vincolante che punta a indurre le imprese a perseguire politiche socialmente responsabili. Quando venne lanciato, nel 2000, si basava su nove princìpi; oggi ne conta dieci. Il quarto di quei princìpi definisce il «“bond labour” o il servaggio causato da debiti» (le convenzioni e i documenti internazionali usano queste due espressioni in modo interscambiabile) come «una pratica antica ancora in uso in alcuni Paesi, che obbliga sia gli adulti sia i bambini a lavorare in condizioni schiavistiche per ripagare debiti contratti da loro stessi oppure dai loro genitori o parenti». Nel 2014, un rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL)[7] ‒ l’agenzia delle Nazioni Unite che promuove la giustizia sociale ed economica attraverso il miglioramento degli standard internazionali del lavoro ‒ lo ha certificato, dichiarando che milioni di persone tra le più povere del Pakistan sono intrappolate nelle maglie del «bond labour», lavorando appunto per poco o niente e proprio per ripagare i debiti personali o delle proprie famiglie, e questo nonostante le leggi del Pakistan lo vietino.

Nel 1992, il Pakistan ha infatti introdotto il «Bonded Labour System (Abolition) Act,[8] (BLSA)» che comminava pene detentive e pecuniarie ai trasgressori. A questa legge sono seguite le «Bonded Labour System (Abolition) Rules» (BLSAR) nel 1995.[9] Ma, nel 2001, uno studio, intitolato Bonded labour in Pakistan: An overview[10] e preparato dal Pakistan Institute of Labour Education and Research per il primo rapporto globale dell’OIL, rilevava come «il governo, a nessun livello, consideri l’eliminazione del “bond labour” una priorità». Lo studio constatava inoltre «una tendenza inquietante dell’amministrazione distrettuale e della magistratura a mostrarsi più comprensiva nei confronti dei trasgressori che non dei lavoratori forzati, spesso rifiutandosi di prendere in considerazione le prove più evidenti. Molti funzionari locali non sono nemmeno consapevoli degli obblighi a far rispettare le leggi cui sono tenuti. A propria volta, i trasgressori sono influenti o protetti dalle élite locali e nazionali. I principali partiti politici riflettono gli interessi dei ceti ricchi e non sono quindi interessati a prendere seriamente in considerazione la questione del “bond labour”».

Per quel che riguarda gli anni successivi, l’OIL ha evidenziato l’esistenza, in Pakistan, di una connessione grave fra lavoro, debito e servaggio.[11] La situazione generale è peraltro aggravata dal fatto che, nonostante quanto stabilito per legge, a più di due decenni dal varo della BLSA ‒ come ha rilevato il Dipartimento di Stato americano nel 2014[12] ‒ nessun funzionario pakistano è mai stato condannato per quei reati. Né la situazione è migliorata nei dieci anni successivi. Le ricerche documentano infatti come nel Paese, oltre che nelle fornaci descritte nel film del TCM, i lavoratori-schiavi vengano oggi largamente impiegati sia nell’agricoltura sia nell’industria della concia e dei tappeti.[13] Accadeva in passato e continua ad accadere oggi.

Condizioni incredibili

I padroncini delle strutture dove il «bond labour» è una triste realtà quotidiana si spingono persino a trattenere i lavoratori in celle private fino all’estinzione del loro debito, aggiungendo reato a reato che solo occasionalmente si traduce in interventi della polizia. Uno studio pubblicato nel 2019 da DAI Global[14] ‒ una società di sviluppo privata con sede a Bethesda, nel Maryland, che viene finanziata dall’USAID, l’agenzia del governo statunitense per gli aiuti esteri, e dal governo del Regno Unito ‒ ha avuto modo di verificare che, quando i contadini migranti del Thar (una regione prossima al confine indiano a prevalenza indù) hanno cercato di fare ritorno alle proprie abitazioni dopo la fine della massiccia siccità che aveva colpito la regione fra 2015 e 2018, detti padroncini li hanno ostacolati con il pretesto di diversi anni di affitto arretrato non corrisposto, che ancora una volta dovevano essere ripagati ovviamente con il «bond labour».

Particolarmente vulnerabili sono le donne contadine, su cui incombe la maggior parte della raccolta del cotone del Pakistan, Paese che di cotone è il quarto produttore mondiale. Secondo il «Rural Women in Pakistan Status Report 2018» prodotto dall’Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile,[15] comunemente noto come «UN Women», il 60% del lavoro agricolo svolto dalle donne non è retribuito e, ancora una volta, la situazione non è certo nel frattempo migliorata. Le donne impiegate nel sistema «bond labour» ovviamente non lo hanno scelto. Per esempio Yasmin, madre di quattro figli, commentando il rapporto di «UN Women» del 2018 ha spiegato ad Al Jazeera ‒ la rete televisiva statale del Qatar ‒ come siano «stati il marito malato e la mancanza di denaro per le medicine, il suo decesso, i bambini, la disperazione, le spese domestiche e tanti altri problemi a costringermi a imboccare questa strada».[16] Nel 2018, uno schiavo del «bond labour» impiegato in una di quelle fornaci infami (quella presa concretamente a campione distava poco più di 20 km dalla brulicante metropoli di Lahore) doveva produrre mille mattoni al giorno per i quali veniva retribuito 960 rupie pakistane, cioè meno di 3,5 dollari odierni. «Lavoro così oramai da dieci anni», ha testimoniato Yasmin. «Se mi ammalo o resto incinta e non posso quindi lavorare più, conteggiano i giorni che perdo in questo modo nell’anticipo che mi hanno corrisposto. Se prendo in prestito altre 500 rupie […], segnano un debito di mille […]».

Pakistan

Nella città di Kot Momin, nel Punjab pakistano, i contadini costretti al «bond labour» lavorano 24 ore su 24 per raccogliere e lavorare le arance che dominano il mercato interno e che sono pure la principale voce di esportazione nazionale verso Indonesia, Medio Oriente e Federazione Russa. Fra loro ci sono Ansar Ali e sua moglie, che nel dicembre 2019 hanno raccontato la propria storia a Deutsche Welle,[17] l’emittente di proprietà dello Stato tedesco comunemente nota come «DW». Per sbarcare il lunario, i due coniugi lavoravano circa 16 ore al giorno tutti i giorni alla settimana. Nel corso degli anni, il debito della famiglia si era infatti moltiplicato e, all’epoca dell’intervista, Ali non aveva idea di come ripagarlo. «Più ci si inoltra nella trappola del debito e meno sono le speranze di uscirne», spiegava Ali a «DW». «È una vita da schiavi da cui probabilmente non uscirò mai»

Nel novembre 2023, Dawn[18] ‒ il più antico e importante quotidiano pakistano in lingua inglese, nonché il principale organo di pubblicazione dei comunicati stampa del governo e della Corte Suprema ‒ ha riferito l’angosciante esperienza vissuta da Saina, una bambina rapita all’età di sette anni e della cui sorte la famiglia non ha saputo nulla per parecchi anni. Quando è stata ritrovata, lavorava come domestica nella città di Sadiqabad, nel Punjab. Il suo corpo era coperto di lividi, segno evidente di abusi fisici, forse anche di natura sessuale. Le stime dell’UNICEF, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, indicano che circa 3,3 milioni di bambini pakistani sono vittime della piaga del lavoro minorile. [19]

Ci sono però anche gli eroi

Nel 2009, Veeru Kohli (1964-2023), una vera e propria eroina pakistana, è stata insignita del Frederick Douglas Freedom Award, un riconoscimento annuale istituito da «Free the Slaves»,[20] una ONG con sede a Washington, negli Stati Uniti, e dalla «John Templeton Foundation»,[21] un’organizzazione filantropica con sede a West Conshohocken, in Pennsylvania. Dopo essere fuggita da un campo di lavoro forzato nel 1998, la donna ha dedicato la vita alle vittime del «bond labour», contribuendo a liberare quasi 4mila lavoratori delle fornaci di mattoni nella provincia pakistana di Sindh.

La sua reazione scattò quando il padroncino di Umerkot presso cui era impiegata le negò il permesso di maritare le figlie: «Era il 1998. Tutto era pronto per il matrimonio delle nostre figlie, ma fu allora che il nostro padrone di casa, Suleman Bhatti, aggredì fisicamente me e mio figlio Pirbhu perché era “interessato” lui alle mie figlie».[22] La «lotta della signora Kohli ha ispirato decine di attivisti per i diritti dei lavoratori non solo in Pakistan, ma anche all’estero», fu l’epitaffio diffuso via Twitter della Commissione per i diritti umani del Pakistan (HRCP) quando la donna scomparve.[23]

Oggi la sua eredità perdura in un Paese, il Pakistan, afflitto dalla totale mancanza di volontà politica da parte dello Stato di agire contro i padroncini più potenti e influenti. Questo avviene particolarmente nel Sindh e nel Baluchistan, la provincia, quest’ultima, più grande del Paese, e solo una delle tre parti in cui è stata suddivisa l’omonima regione storica (le altre due sono amministrate da Iran e Afghanistan). Il fatto che alcuni di quei padroncini siano stati eletti nelle assemblee provinciali o che agiscano come importanti mediatori locali aggiunge la beffa al danno.


[1] Cfr. Pulitzer Center on Crisis Reporting, Washington (Stati Uniti d’America), https://pulitzercenter.org/. (Tutti gli accessi sono stati verificati il 19 aprile 2024).

[2] Cfr. Bonded by Brick: The Story of Modern-Day Slavery in Pakistan, Pulitzer Center on Crisis Reporting, Islamabad, Pakistan, 2024, https://pulitzercenter.org/stories/bonded-brick-life-labourer-outside-brick-kiln-ep-03.

[3] Cfr. Centrum Media, Islamabad, https://thecentrummedia.com.

[4] Cfr. Talha Ahad, https://muckrack.com/talhaahad/bio.

[5] Cfr. Bonded Labour Liberation Front Pakistan (BLLF), Lahore (Pakistan), https://www.bllfpk.com/.

[6] Cfr. United Nations Global Compact, Ginevra (Svizzera), https://unglobalcompact.org/.

[7] Cfr. Smita Premchander, V. Prameela and M. Chidambaranathan, Prevention and elimination of bonded labour: The potential and limits of microfinance-led approaches, International Labour Organization, Ginevra 2014, https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/—ed_norm/—declaration/documents/publication/wcms_334875.pdf.

[8]  Cfr. United Nations Human Rights Council, Pakistan: Bonded Labour System (Abolition) Act, 1992, Ginevra, https://www.refworld.org/legal/legislation/natlegbod/1992/en/80010.

[9] United Nations Human Rights Council, Pakistan: Bonded Labour System (Abolition) Rules, 1995, Ginevra, https://www.refworld.org/legal/decreees/natlegbod/1995/en/80012.

[10] Aly Ercelawn e Muhammad Nauman, Bond labour in Pakistan: An overview, Pakistan Institute of Labour Education and Research, Karachi (Pakistan) 2001, https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/—ed_norm/—declaration/documents/publication/wcms_096991.pdf.

[11] Pakistan Institute of Labour Education and Research, Unfree labour in Pakistan: Work, debt and bondage in brick kilns, International Labour Office, Ginevra 2004, https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/—ed_norm/—declaration/documents/publication/wcms_082028.pdf.

[12] U.S. Department of State, Office to Monitor and Combat Trafficking in Persons, 2014 Trafficking in persons Report, U.S. Department of State, Washington 2004, https://2009-2017.state.gov/j/tip/rls/tiprpt/countries/2014/226793.htm.

[13] Nadeem Malik, Bonded labour in Pakistan, in Advances in Anthropology, vol. 6, n. 4, Scientific Research Publishing, Wuhan (Repubblica Popolare Cinese)-Glendale (California, Stati Uniti d’America) 2016, pp. 127-136, https://www.researchgate.net/publication/317545958_Bonded_Labour_in_Pakistan.

[14] Cfr. DAI [Development Alternatives Incorporated] Global, Bethesda, Maryland (Stati Uniti d’America), https://www.dai.com/.

[15] United Nations Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women [UN Women], Center for Gender and Policy Studies, Rural Women in Pakistan Status Report 2018, Un Women Ginevra 2018, https://asiapacific.unwomen.org/en/digital-library/publications/2018/08/status-of-rural-women-of-pakistan.

[16] Faras Ghani, The spiralling debt trapping Pakistan’s brick kiln workers, in Al Jazeera, Doha (Qatar) 21 ottobre 2019, https://www.aljazeera.com/features/2019/10/21/the-spiralling-debt-trapping-pakistans-brick-kiln-workers.

[17] Shahzeb Jillani, Life of slavery: bonded labor in Pakistan, in Deutsche Welle [DW], Bonn (Germania), 25 dicembre 2019, https://www.dw.com/en/life-of-slavery-the-perpetuation-of-bonded-labor-in-pakistan/a-51792298.

[18] Waqas Ali e Aleezeh Fatimah, Robbed of their childhood, kids suffer through forced labour, in Dawn, Karachi 21 novembre 2023, https://www.dawn.com/news/1791089.

[19] UNICEF [United Nations International Children’s Emergency Fund], Pakistan: Child Protection

Protecting all children in Pakistan from all forms of violence, neglect and exploitation, Ginevra s.d., https://www.unicef.org/pakistan/child-protection-0.

[20] Cfr. «Free the Slaves», Washington, https://freetheslaves.net/.

[21] Cfr. «John Templeton Foundation», West Conshohocken, Pennsylvania (Stati Uniti d’America), https://www.templeton.org/

[22] Gobind Menghwar e Ishaq Mangrio, Liberator From Bonded Labour: Remembering The Valiant Veeru Kohli, in The Friday Times, Lahore 7 dicembre 2023, https://thefridaytimes.com/07-Dec-2023/liberator-from-bonded-labour-remembering-the-valiant-veeru-kohli.

[23]  Human Rights Commission of Pakistan, Lahore, Twitter [ora X] 31 ottobre 2023, https://twitter.com/HRCP87/status/1719300288161444088.

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