Diciassette marzo 1861: la legge n. 4671 del Regno di Sardegna dà i natali al Regno d’Italia. Per la prima volta dopo secoli, la maggior parte del territorio della Penisola è riunito sotto un’unica bandiera. Il neonato regno inizia il suo cammino con la necessità di diventare in fretta adulto, circondato e pressato com’è dagli interessi delle numerose potenze di una Europa all’apice del suo prestigio globale. L’Impero Austro-Ungarico detiene ancora ampie porzioni di territorio di lingua italiana, la Germania, grazie all’impronta prussiana, nasce già potente, Francia e Regno Unito si spartiscono il mondo, estendendo i propri domini coloniali. In questo contesto, per l’Italia è necessario provvedere contemporaneamente al suo consolidamento interno e alla sua affermazione esterna. Sul fronte interno, lo stato italiano si trova a dover gestire un popolo che è ben lungi dal possedere un autentico spirito nazionale. Il Sud del Paese è scosso da gravi problemi di ordine pubblico, arretratezza economica, drammatica insufficienza infrastrutturale.
Nella temperie culturale dell’età vittoriana il prestigio di una nazione passa necessariamente per il suo impero coloniale. L’avventura coloniale italiana inizia il quindici novembre del 1869 con l’acquisto della baia di Assab da parte della compagnia di navigazione Rubattino. Lo scopo è costruire un base di rifornimento sulla rotta per l’Estremo Oriente passante per Suez. La baia rimane comunque inutilizzabile per un decennio a causa dell’occupazione delle forze egiziane. È l’intervento diretto del Regio Esercito a ripristinare il controllo sulla base e ad estendere infine il dominio italiano su tutto il territorio eritreo. La colonia italiana dell’Eritrea nasce ufficialmente il due maggio 1889 con la firma del Trattato di Uccialli tra il Regno d’Italia e l’Impero d’Etiopia. Il trattato contiene delle ambiguità esplicitate nella traduzione nelle lingue dei contraenti, la traduzione in italiano dell’articolo 17 “Sua Maestà il Re dei Re d’Etiopia consente di servirsi del Governo di Sua Maestà il Re d’Italia per tutte le trattazioni di affari che avesse con altre potenze o governi.”[1] differisce dalla versione in lingua amarica, dove l’imperatore ha la facoltà di scegliere come e in che modo servirsi dell’intervento italiano. Questa ambiguità avrà molta rilevanza nell’esplosione del conflitto con l’Impero d’Etiopia che portando alla drammatica sconfitta di Adua (primo di marzo 1896), segnerà la momentanea fine delle velleità espansionistiche italiane nell’entroterra etiope e l’abrogazione del trattato stesso. La sconfitta di Adua ha un fortissimo impatto sulla società civile italiana, che scende nelle piazze per chiedere la fine delle ostilità impedendo di fatto al governo di organizzare ulteriori spedizioni militari per vendicare lo scacco subito.
Il 3 maggio del 1881 inizia l’occupazione della Tunisia da parte della Francia. Tutti gli sforzi profusi dall’Italia sin dal 1868 per arrivare, in modo pacifico, all’istituzione di un protettorato sui territori tunisini sono vanificati in un attimo. Il neonato regno deve fare i conti con la sua debolezza sia sul piano militare che diplomatico. Controllare le due sponde del canale di Sicilia è il modo migliore per espandere la proiezione mediterranea dell’Italia, ma né il Regno Unito né la Francia possono permettersi di perdere il controllo del collo di bottiglia al centro del Mediterraneo. Resisi conto della drammatica debolezza, i dirigenti del nuovo stato italiano iniziano a vedere con favore un riavvicinamento alla Germania. Il venti maggio 1882 nasce la Triplice Alleanza, nonostante l’intransigenza degli irredentisti italiani, intenzionati a recuperare tutti i territori italiani ancora in mano agli austriaci. Il nuovo assetto diplomatico mette al riparo l’Italia da una potenziale aggressività francese e, contestualmente, rinforza il fianco meridionale degli imperi centrali. L’accordo siglato il diciotto agosto del 1882 tra Francia e Russia, in chiara funzione antitedesca, inizia a delineare lo scenario di accerchiamento tanto temuto dalla diplomazia germanica. Per lo Stato sabaudo la partita geopolitica si complica, schiacciato tra la necessità dell’ombrello protettivo tedesco e il rischio di veder frustrato ogni tentativo di affermazione mediterranea. L’adesione alla Triplice Alleanza è una scelta quasi obbligata per la diplomazia italiana, viste l’assertività francese nelle acque del mediterraneo e la maggiore potenza militare della repubblica transalpina. Tra il 1904 e il 1907 Francia, Regno Unito e Russia riescono a comporre i reciproci dissidi arrivando alla costituzione della Triplice Intesa, l’accerchiamento degli imperi centrali è ormai completo. I meccanismi che condurranno alla guerra sono ormai in moto e per la diplomazia italiana i margini di manovra diventano sempre più risicati.
Con il volgere del nuovo secolo, un nuovo tipo di nazionalismo si fa strada nelle élites italiane. Non si tratta più di un nazionalismo di stampo mazziniano, fondato sul diritto di ogni popolo all’autodeterminazione, ma di un nazionalismo aggressivo-imperialista affascinato dal concetto quasi darwiniano del forte che sopraffà il debole. Tra i seguaci di questo nuovo orientamento fermenta la delusione per la timida politica estera portata avanti da Giolitti. I nazionalisti rivendicano un ruolo più assertivo per l’Italia. Lo sconcerto aumenta nel 1908 quando gli austriaci annettono la Bosnia, i nostri alleati/concorrenti ottengono vantaggi strategici nell’Adriatico e nei Balcani e Roma non dà segnali di reazione. Aumentano le discussioni tra i nazionalisti, che vogliono una maggiore aggressività in campo coloniale, e gli irredentisti che premono per non abbandonare il progetto di recuperare le terre “irredente” sotto il controllo austriaco. In questo contesto, sul finire del 1910, nasce l’Associazione nazionalisti italiani. Per questo nuovo partito, avversario di liberali e repubblicani, il “nazionalismo non poteva essere semplicemente sinonimo di patriottismo, ma doveva promuovere una politica di espansionismo e di sviluppo della coscienza nazionale[2]”. Negli stessi anni nasce il movimento futurista e si rinforza il sentimento nazionalista nell’alta società italiana.
Sullo scacchiere mediterraneo Francia e Gran Bretagna avevano, già da decenni, rinforzato la loro posizione. L’Impero ottomano ormai strangolato dalla sua secolare agonia perde progressivamente il suo controllo sulle regioni della Tripolitania e della Cirenaica. Ecco l’opportunità per l’Italia per rinforzare la sua posizione nel Mediterraneo centrale. Gli spazi per poter proiettare l’influenza italiana, senza entrare in conflitto diretto con le altre potenze coloniali, sono sempre più risicati in seguito all’occupazione francese del Marocco, bisogna agire. Le ostilità con la Turchia si aprono nel settembre del 1911 e si concludono nel maggio dell’anno seguente. La rapidità dell’impresa e il numero limitato di vittime galvanizzano il morale dei nazionalisti. Tuttavia, la guerra italo-turca non segna l’inizio di una politica espansionistica in competizione contro il maggior rivale mediterraneo, la Francia. Piuttosto, siamo di fronte alla consapevolezza di una debolezza strutturale che ci obbliga non solo a guardare, con molta attenzione, l’evoluzione dello scenario internazionale ma anche a reagire con estrema oculatezza. La giovane Italia non è pronta a confrontarsi alla pari con i grandi, bisogna giocare di rimessa e cercare di trarre il massimo da ogni situazione. Il primo vero banco di prova per le abilità geopolitiche della neonata nazione sarà lo scoppio del primo conflitto mondiale.
[1] https://gspi.unipr.it/sites/gspi/files/allegatiparagrafo/17-02-2015/documenti_-_treaty_of_wuchale_1889.pdf
[2] Fonzo, Erminio, Storia dell’Associazione Nazionalista Italiana (1910-1923), Napoli 2017, cit. p.45