Le correnti repubblicane e la loro visione di polita estera: l’approccio all’Iran
Il mondo repubblicano ha subito una vera e propria spaccatura quando il Presidente Donald Trump, a seguito dell’inizio dell’operazione Leone Nascente lanciata da Israele contro l’Iran il 13 giugno scorso, ha ventilato l’ipotesi di effettuare un attacco contro alcuni siti nucleari iraniani.
Nell’ideologia dell’America First trumpiana è presente una tensione latente tra due differenti concezioni di quali siano gli interessi degli Stati Uniti, esplosa in questo delicato frangente storico[1].
Un’anima originaria ha tendenze più isolazioniste ed esprime scetticismo, se non ostilità, verso interventi militari all’estero perché ritiene che gli Usa debbano astenersi dall’intervenire in un mondo ingrato, pericoloso e afflitto da problemi strutturali che gli Stati Uniti non possono risolvere.
Un’altra anima è cresciuta mano a mano che il trumpismo si rafforzava e si istituzionalizzava e vuole ricalibrare ma anche tutelare gli interessi imperiali degli Stati Uniti.
Tale anima è meno isolazionista perché ritiene che in alcuni casi gli atti di forza siano necessari sulla base del principio reaganiano del “peace through strenght” ed il fine è quello di calibrare deterrenza e coercizione per tutelare gli interessi americani[2].
A partire da questa seconda presidenza, iniziata nel gennaio 2025, Trump ha indicato l’espansione territoriale come esplicito obiettivo di politica estera, prospettando l’annessione della Groenlandia e di Panama e evocando modelli di un passato imperiale e ottocentesco come il Manifest destiny. Si prospetta un mondo neo-imperiale in cui all’unica potenza globale – gli Stati Uniti – si affiancano egemonie regionali alleate, capaci di imporre con la forza una disciplina a cui altri Paesi meno forti e influenti devono soggiacere[3].
A questa visione è organico “il grande Israele” di Netanyahu e della destra massimalista israeliana che aspira ad un’egemonia regionale. Il vantaggio politico per Trump nell’inserirsi in questo teatro deriverebbe dallo strutturale indebolimento, se non abbattimento, del regime iraniano e dal trionfo in un conflitto a basso costo e rischio, di cui si farebbe carico principalmente l’alleato israeliano[4].
Questa strategia nazional-imperialista di Trump concorda in pieno con la visione di quei sostenitori MAGA[5] che non sono contrari all’imperialismo e al militarismo tout court, ma si oppongono a quella che considerano una globalizzazione a spese degli Stati Uniti, unita a guerre contro potenze minori da cui non derivano guadagni visibili[6].
Il movimento MAGA, che si differenzia dall’America First perché più che un orientamento politico sulla politica estera è un movimento popolare di più ampio respiro incentrato anche sui temi dell’economia e del protezionismo economico, oscilla tra tre visioni del ruolo degli Usa nello scacchiere globale: imperialismo, isolazionismo e millenarismo evangelico[7].
Si è fortemente diviso al suo interno tra interventisti e isolazionisti in base alla valutazione dell’interesse che avrebbe ricavato il Paese dall’operazione in Iran[8].
La vecchia destra repubblicana neoconservatrice, da sempre interventista, ha, invece, sostenuto compattamente e fermamente la necessità di un cambio di regime a Teheran e ha invitato Trump a non fermarsi ad un’azione simbolica. L’Iran viene visto come una minaccia strategica ed un nemico a livello ideologico, che giustifica un intervento diretto, se necessario.
L’argomento principale di questa destra neocon è che gli USA dovrebbero riaffermare il proprio ruolo di gendarme globale, di vitale e primario interesse, anche attraverso l’uso della forza: un’idea che piace molto ad una parte dell’elettorato repubblicano più tradizionale e legato ai ricordi dell’11 settembre, dei due mandati di presidenza George Bush Jr e delle guerre in Iraq e Afghanistan[9].
In questa dialettica tra interventisti ed isolazionisti Israele si pone appellandosi ai codici e alla retorica di un occidentalismo che fa ancora proseliti in una parte del mondo politico e dell’opinione pubblica.
Anche in questa fase di storia medio-orientale Israele ha riproposto lo schema binario “Occidente liberale contro islamismo” e ha riattivato un discorso che pareva in realtà essere stato screditato dalle fallimentari guerre in Iraq e Afghanistan e che fa da collante all’asse tra le due destre radicali, israeliana e statunitense[10].
Oltre alla dicotomia tra interventisti e isolazionisti, l’attacco statunitense all’Iran ha riacceso un terzo blocco dentro al fronte repubblicano: quello dei nazionalisti cristiani, una corrente che fonde millenarismo cristiano, identitarismo americano e sostegno incondizionato allo Stato di Israele[11]. Secondo questa corrente l’operazione militare “Martello di Mezzanotte” del 21 giugno scorso andrebbe interpretata in chiave apocalittica come parte di una battaglia tra bene e male e un passo verso il compimento della profezia biblica sul destino di Israele e del Medio Oriente[12].
Chi sono gli esponenti interventisti e isolazionisti tra i repubblicani?
Ma vediamo chi sono le personalità afferenti a questi vari campi della galassia repubblicana.
Tra gli interventisti si sono distinti il consigliere della Sicurezza Nazionale Mike Waltz, successivamente estromesso a causa dello scandalo Signalgate, il generale Kurilla e il direttore della Cia John Ratcliffe.
Sono la rappresentazione di vari ambienti negli apparati e nell’establishment da sempre favorevoli ad attaccare militarmente la repubblica islamica[13]. Essi hanno sostenuto l’idea che la partecipazione americana all’attacco sull’Iran avrebbe ristabilito una certa credibilità e deterrenza degli Stati Uniti nell’area medio-orientale, tale da far rinunciare completamente l’Iran all’arricchimento dell’uranio.
Tra queste fila c’erano non solo neoconservatori ma anche correnti più vicine all’attuale presidente: militari, spie, diplomatici con trascorsi in Medio-Oriente, analisti vicini agli apparati nostalgici della supremazia militare da restaurare con cambi di regime nei paesi dell’Asse del Male, senatori da decenni a stretto contatto con le agenzie della politica estera, opinionisti televisivi, donatori plurimiliardari, attivisti evangelici[14].
L’ambizione ultima di queste cerchie sarebbe mandare un messaggio di risolutezza a Mosca e a Teheran prima di concentrarsi su Pechino, autentica sfida nazionale.
Dall’altro lato i non interventisti in Iran hanno come capofila il vice-presidente J.D. Vance, seguito dall’inviato speciale Steve Witkoff, dal segretario della Difesa Pete Hegseth, dalla direttrice dell’Intelligence Nazionale Tulsi Gabbard, ex democratica e dal capo di gabinetto Susie Wiles[15]. Espressione degli umori della base elettorale, non vogliono portare l’America in un nuovo conflitto prolungato perché la priorità è ricentrare il baricentro economico e strategico tra Nordamerica e indo-pacifico, in particolare verso la Cina, a costo di distensioni con la Russia e l’Iran.
Questo fronte non voleva esporsi eccessivamente con l’Iran, per non pregiudicare le chance negoziali: prima bisognava dare spazio alla diplomazia e solo se questa fosse fallita, Israele avrebbe avuto il via libera per l’attacco.
Il segretario di Stato Marco Rubio ha invece assunto una posizione terza: intransigente nelle richieste sul nucleare ma cauto sull’intervento.
Di conseguenza Trump si è trovato preso in mezzo tra i più convinti sostenitori dell’interventismo e i non interventisti. Il suo approccio attinge all’ostilità viscerale verso la repubblica islamica ma, nonostante ciò, non ha voluto promuovere il regime change perché troppo oneroso. Limitandosi tuttalpiù ad un’azione mirata contro i siti nucleari.
Il presidente sapeva anche che l’avversione all’Iran è radicata nell’establishment repubblicano: questa certezza lo ha persuaso nella scelta interventista.
Trump si è convinto del pragmatismo della sua base perché i repubblicani erano in netta maggioranza, al 74%, preoccupati che l’Iran ottenesse una bomba e al 47% favorevoli a impedirlo con la forza[16]. La sua tesi era che non ci si sarebbe vinta un’elezione, ma se la tregua avesse retto e se non fossero morti soldati americani, la base gli sarebbe restata leale perché meno dogmatica di come la rappresentavano i trumpisti stessi[17].
Netanyahu, dal canto suo, ha scommesso sulle reti anti-iraniane e filoisraeliane in America per incassare la partecipazione e il contributo prezioso degli Usa in Iran.
D’altro canto, se l’Iran rivoluzionario per Gerusalemme è sempre stato visto come una minaccia esistenziale, Washington non ha mai ritenuto essenziale abbattere il regime. Inoltre, mentre gli Usa vogliono promuovere gli accordi di Abramo tra Israele e i Paesi arabi, Israele vuole sconfiggere militarmente tutti i suoi nemici e ad un accordo preferisce l’opzione militare. Queste visioni differenti con l’attacco all’Iran del 21 giugno scorso hanno trovato una sintesi[18].
Gli Stati Uniti non sono così riusciti a dissuadere Israele dall’ intraprendere l’operazione “Martello di mezzanotte”, riuscendo però a limitarne la portata ai soli siti di arricchimento dell’uranio[19].
Quali le implicazioni dell crisi medio-orientale nei rapporti USA Israele?
Nonostante ciò, l’escalation del conflitto in Medio Oriente con l’attacco congiunto ai siti nucleari iraniani ha rafforzato i rapporti bilaterali degli Usa con Israele, già consolidati dall’inizio di questa seconda amministrazione Trump. Le collaborazioni tra i due Paesi, soprattutto in campo tecnologico e militare, hanno conosciuto un’intensificazione senza precedenti, sostenuta da nuovi accordi, commesse e finanziamenti.
Si tratta spesso di nuove iniziative strategiche volte non solo a consolidare la leadership tecnologica dei due Paesi, ma anche a favorire nuove alleanze regionali con i Paesi del Golfo, in particolare con Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Kuwait, contrastando al contempo l’asse tecnologico rappresentato da Iran–Cina–Russia, e rafforzando il blocco cooperativo creato dagli Accordi di Abramo.
In ambito militare il Congresso, oltre alla United States-Israel Defense Partnership Act 2025, sta attualmente valutando nuove misure per armare Israele in caso di escalation iraniana futura, tra cui una legge denominata “Bunker Buster Act”, mirata a fornire bombe anti-bunker e bombardieri stealth B‑2 qualora l’Iran riprendesse il programma nucleare[20].
In ambito energetico il 9 luglio 2025 è stato firmato un memorandum d’intesa tra i dipartimenti USA dell’Energia e dell’Interno e il governo israeliano, con l’obiettivo di rafforzare la collaborazione su intelligenza artificiale e sicurezza energetica. L’intesa mira, in particolare, a ottimizzare la crescente domanda energetica dei data center, condividere buone pratiche nell’applicazione dell’IA alle infrastrutture, al fine di mantenere entrambi i Paesi ai vertici del settore energetico globale.
Parallelamente, è in fase di progettazione un fondo bi-nazionale per il quantum computing, con investimenti congiunti pari a 200 milioni di dollari tra il 2026 e il 2030. Il fondo sosterrà un centro di innovazione con sedi a Tel Aviv e Arlington, dedicato allo sviluppo di IA e tecnologie quantistiche, con applicazioni in ambiti cruciali come sicurezza informatica, medicina genetica, sicurezza alimentare e gestione idrica nelle aree aride.
Una partnership strategica, dunque, quella tra Israele e Stati Uniti che, lungi dall’essere scalfita dalle tensioni regionali, si proietta verso una dimensione sempre più integrata e strutturale, con ricadute di lungo periodo sia sul piano bilaterale sia sugli equilibri geopolitici del Medio Oriente.
[1] https://www.panorama.it/attualita/esteri/iran-trump-spacca-il-fronte-conservatore-scontro-con-tucker-carlson-e-tensioni-nel-mondo-maga
[2] https://www.panorama.it/attualita/esteri/iran-trump-spacca-il-fronte-conservatore-scontro-con-tucker-carlson-e-tensioni-nel-mondo-maga
[3] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/israele-iran-la-guerra-che-divide-la-destra-americana-211926
[4] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/israele-iran-la-guerra-che-divide-la-destra-americana-211926
[5] L’acronimo Maga sta per “Make America Great Again” “Rendi di nuovo grande l’America”, lo slogan utilizzato da Donald Trump nella sua campagna elettorale del 2016 e del 2024.
[6] https://www.washingtonpost.com/politics/youre-a-bunch-of-dopes-and-babies-inside-trumps-stunning-tirade-against-generals/2020/01/16/d6dbb8a6-387e-11ea-bb7b-265f4554af6d_story.html
[7] https://www.atlanteditoriale.com/maga-civil-war-i-repubblicani-si-spaccano-sulla-guerra-in-iran/ I gruppi evangelici più importanti negli Stati Uniti si ritengono combattenti crociati impegnati in una lotta contro il male. Attendono impazientemente l’Apocalisse a cui seguirà l’avvento di Gesù Cristo, che giustizierà i non credenti e porterà con sé in Paradiso i suoi fedeli, e vedono nell’esistenza di Israele, la terra promessa, il suolo fondamentale per la riuscita di questo evento.
[8] La spaccatura all’interno del mondo repubblicano è stata amplificata attraverso i media. E’ coinvolgente un’intervista del 18 giugno dell’anchorman e cofondatore dell’universo Maga Carlson al senatore Cruise sull’intervento in Iran in cui Cruise dimostra di non conoscere il paese, pur se l’Amministrazione è in procinto di bombardarlo.La tensione è esplosa mentre Carlson accusava Cruz di ignoranza, esclamando: “Sei un senatore che chiede il rovesciamento del governo e non sai nulla del Paese!”. Cruz ha provato a difendersi, ribattendo che Carlson “sostiene che non stanno cercando di uccidere Donald Trump” e contestando la sua posizione sull’uccisione del generale Soleimani. Successivamente, Cruz, incalzato da Carlson, ha chiarito che gli Stati Uniti stanno “sostenendo gli attacchi israeliani, non conducendo direttamente attacchi”. Carlson ha replicato: “La posta in gioco è alta. Sei un senatore: se dici che il governo degli Stati Uniti è in guerra con l’Iran, la gente ti ascolta. https://www.youtube.com/watch?v=X4UQkxcPeag A questa intervista Carlson ha risposto da Steve Bannon in War Room alle accuse mossegli da Trump dopo l’intervista con Cruz sostenendo che il popolo iraniano non è suo nemico: “Quello che stiamo facendo è orwelliano, non mi direte chi devo odiare”. Il giornalista ha anche accusato lo stesso Trump per l’operazione israeliana del 13 giugno “Leone nascente” contro siti militari e nucleari iraniani e ha chiesto agli Stati Uniti di uscire dalla guerra. https://www.youtube.com/watch?v=tUtdwZDSqwU
[9]https://www.atlanteditoriale.com/maga-civil-war-i-repubblicani-si-spaccano-sulla-guerra-in-iran/
[10] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/israele-iran-la-guerra-che-divide-la-destra-americana-211926
[11] https://www.atlanteditoriale.com/maga-civil-war-i-repubblicani-si-spaccano-sulla-guerra-in-iran/
[12] Questa narrazione messianica è cresciuta e si è diffusa soprattutto sui media evangelici e tra le basi rurali del Sud degli Stati Uniti, dove permane l’idea che gli Stati Uniti siano uno strumento della volontà divina sulla Terra; l’Iran non sarebbe solamente una minaccia militare ma una nazione ostile a Dio che va contrastata con la forza delle armi.
[13] https://www.limesonline.com/rivista/l-america-contro-il-folle-volo-di-netanyahu-19622207/
[14] https://www.limesonline.com/rivista/l-america-contro-il-folle-volo-di-netanyahu-19622207/
[15] https://www.limesonline.com/rivista/l-america-contro-il-folle-volo-di-netanyahu-19622207/
[16] https://www.reaganfoundation.org/reagan-institute, http://www.washingtonpost.com
[17] https://www.limesonline.com/rivista/l-america-contro-il-folle-volo-di-netanyahu-19622207/
[18] https://www.limesonline.com/rivista/l-america-contro-il-folle-volo-di-netanyahu-19622207/
[19] https://www.limesonline.com/rivista/l-america-contro-il-folle-volo-di-netanyahu-19622207/
[20] Il 29 Settembre, l’Unione Europea ha varato nuove sanzioni all’Iran in risposta alle intenzioni del regime degli Ayatollah di riprendere la corsa verso l’arricchimento dell’uranio e al nucleare a fini non civili e al loro rifiuto di collaborare con gli ispettori dell’Agenzia Internazionale per l’energia atomica.