Carta: Geopolitica dei videogiochi anni 80

Nei primi anni Ottanta, il settore dei videogiochi diventa un fenomeno globale, pur restando saldamente ancorato alle tecnologie e ai brevetti americani

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videogiochi anni 80
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La nascita dell’industria

Negli anni Sessanta, l’industria informatica statunitense, grazie alla stretta collaborazione tra apparato militare-industriale e istituzioni accademiche, porta sul mercato civile microprocessori sempre più economici. Già nel 1962, la produzione di massa dei circuiti integrati progettati per il sistema di guida del missile Minuteman genera importanti economie di scala, abbattendo i costi di produzione della microelettronica avanzata.

Nel settembre 1975, MOS Technology introduce sul mercato il 6502, un microprocessore venduto a soli 25 dollari, caratterizzato da un rapporto qualità-prezzo nettamente superiore ai concorrenti dell’epoca. Questa disponibilità di componenti potenti ed economici accelera lo sviluppo dell’informatica di consumo e favorisce la nascita delle prime console domestiche.

Atari, dopo aver inaugurato con successo il modello arcade con Pong nel 1972, lancia nel 1977 la console domestica Atari 2600, caratterizzata dal sistema a cartucce intercambiabili. La rapida diffusione nelle sale giochi di titoli diventati iconici, come Space Invaders e Pac-Man, rende in poco tempo il videogioco un fenomeno culturale di massa.

Nei primi anni Ottanta, il settore arcade negli Stati Uniti raggiunge fatturati record, toccando gli 8 miliardi di dollari e superando persino cinema e industria musicale. Questo successo è frutto della capacità innovativa delle aziende statunitensi, dei costi competitivi di assemblaggio offerti dai Paesi asiatici e da una rete distributiva estremamente efficace.

Dietro questo trionfo commerciale emerge una chiara componente strategica: Washington consente l’esportazione delle tecnologie avanzate agli alleati, ma mantiene un rigido controllo sulla proprietà intellettuale e sulle componenti chiave. Questo favorisce la nascita di poli industriali e creativi in Europa, Corea del Sud e soprattutto in Giappone, che restano però tecnologicamente dipendenti dagli Stati Uniti. Nei primi anni Ottanta, il settore dei videogiochi diventa un fenomeno globale, pur restando saldamente ancorato alle tecnologie e ai brevetti americani.

La crisi dei videogiochi del 1983

Tra la fine del 1982 e l’inizio del 1983, però, il mercato americano delle console precipita in una profonda crisi, causata dall’offerta sproporzionata di piattaforme con cartucce e periferiche incompatibili e dal drastico calo qualitativo dei giochi disponibili. Il risultato è un crollo delle vendite del 97% in soli due anni. Atari licenzia migliaia di dipendenti e sposta le produzioni in Asia, Magnavox abbandona il mercato e Activision si concentra esclusivamente sui software per computer.

Questa crisi apre un’opportunità preziosa per le aziende estere, specialmente quelle giapponesi. Nel 1983 Nintendo presenta il Family Computer (Famicom), una console dotata di hardware solido e con un rigoroso controllo qualitativo sui giochi pubblicati. Il successo è immediato e straordinario. Quando nel 1985 il Famicom viene rilanciato sul mercato nordamericano come Nintendo Entertainment System (NES), riesce a riportare fiducia tra i distributori e a imporre standard qualitativi molto più alti. Da quel momento, il centro di gravità dell’industria videoludica si sposta definitivamente in Giappone.

Il predominio giapponese secondo le condizioni americane

Durante il biennio 1986-1987 la leadership giapponese si consolida: Nintendo vende quasi 62 milioni di unità NES/Famicom, conquistando circa il 90% del mercato delle console negli Stati Uniti e in Giappone. Anche il settore arcade vede la netta affermazione delle aziende nipponiche.

La crescente supremazia giapponese solleva preoccupazioni a Washington, specialmente quando aziende nipponiche iniziano a dominare anche il mercato globale delle memorie DRAM, arrivando a controllare quasi l’80% del mercato mondiale nel 1987, grazie a strategie di prezzo aggressive. Gli Stati Uniti reagiscono con l’accordo commerciale U.S.-Japan Semiconductor Agreement del 1986, mirato a contrastare il dumping e ad aprire il mercato interno giapponese alle aziende straniere. In seguito a questo accordo, di successo limitato, le imprese americane iniziano a concentrarsi sulla produzione di microprocessori e memorie di alto livello e ad alto valore aggiunto.

Si definisce così un nuovo equilibrio nel settore: il Giappone conquista il mercato dal punto di vista economico e creativo, mentre gli Stati Uniti mantengono il dominio strategico delle tecnologie fondamentali.  

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