Il prezzo della pace

La firma del Trattato di Pace del 1947 non è solo un atto diplomatico, ma il simbolo di un Paese costretto a fare i conti con le proprie scelte belliche e con il proprio passato

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trattato di pace 1947
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La Seconda guerra mondiale in Europa termina l’8 maggio 1945, nel Pacifico qualche mese e due bombe atomiche più tardi. Alla fine delle ostilità il vecchio continente si risveglia completamente devastato. Soltanto i Paesi che hanno avuto la lungimiranza, o la fortuna, di non farsi coinvolgere nel conflitto sono stati risparmiati dalle immani devastazioni sia umane che materiali. L’economia è in ginocchio e le popolazioni soffrono carenze di cibo e di ogni sorta di bene di prima necessità. Nel mese di luglio, a Potsdam i vincitori decidono la sorte degli sconfitti.

Conseguenze della guerra

Anche in Italia la situazione è drammatica. La capacità industriale è seriamente danneggiata e la produzione agricola giace inerme. Il tessuto sociale è frantumato lungo diverse bisettrici, come dimostrato dal referendum e dalle elezioni per la costituente del 2 giugno 1946. La vittoria della repubblica non è assolutamente plebiscitaria ed evidenzia un Paese spaccato praticamente a metà[1].  All’Assemblea costituente la Democrazia cristiana (Dc) ottiene quasi la somma dei seggi del secondo e del terzo partito, che sono rispettivamente il Partito socialista (Psiup) e il Partito comunista (Pci)[2]. Si evidenzia “la centralità del consenso ai tre partititi «di massa», divisi in due blocchi elettoralmente più o meno equivalenti: quello democristiano (35% dei voti) e quello socialista e comunista (legati tra loro da un «patto di unità d’azione…)[3]che ottiene il 38% dei voti[4].

Il costo della pace

A tutto questo va sommato il prezzo della pace. Non va assolutamente dimenticato che l’Italia sotto il regime fascista ha partecipato al Patto tripartito con la Germania ed il Giappone, ha intrapreso una guerra di aggressione ed ha in tal modo provocato uno stato di guerra con tutte le Potenze Alleate ed Associate e con altre fra le Nazioni Unite e che ad essa spetta la sua parte di responsabilità della guerra[5]”. Il trattato di pace firmato a Parigi il 10 giugno del 1947 non ha come unico scopo la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra i vincitori e l’Italia, ma anche quello di consegnare agli italiani il conto da pagare per aver contribuito a causare la peggiore tragedia umana dell’Occidente.

La dimensione della disfatta

La disfatta è totale e nonostante il riconoscimento, in sede diplomatica, del contributo dato al fine della sconfitta definitiva tedesca successivamente l’8 settembre, le condizioni della pace sono dure. Tutti i possedimenti coloniali sono persi. Il confine orientale viene modificato con la perdita dei territori dalmati, istriani e di Trieste. Anche il confine occidentale subisce modifiche in favore della Francia. Oltre le modifiche territoriali l’Italia è obbligata a smantellare ogni struttura difensiva lungo i confini francese e jugoslavo. Pantelleria e le isole Pelagie devono essere smilitarizzate e per quanto riguarda le isole maggiori, Sicilia e Sardegna, devono essere smantellate tutte le installazioni militari con il divieto di costruirne di nuove. Le forze armate ridotte a meno del minimo indispensabile per la difesa del territorio nazionale.

Lo scenario è impietoso. L’Italia è privata non solo della possibilità di intraprendere qualsiasi futura proiezione all’esterno ma anche della sua capacità difensiva. La marina militare è ridotta a una manciata di unità, l’aeronautica a pochissimi apparecchi e le isole che schermano il cuore del territorio nazionale sostanzialmente smilitarizzate. Estromessa da ogni area di interesse nazionale l’Italia perde sostanzialmente la sua indipendenza e la forza di rivendicare la propria posizione geografica. Sono, di nuovo, le potenze vincitrici ad avvantaggiarsi della nostra posizione nel Mediterraneo. Ancora una volta, siamo oggetto nel pensiero strategico altrui.

Il fattore umano versa in condizioni analoghe se non peggiori. Le occupazioni, tedesca al Nord e alleata al Sud, insieme alla guerra civile hanno lasciato segni profondi nella società italiana. L’intero stivale porta addosso le cicatrici dei bombardamenti. Questo è l’epilogo della parabola del regime fascista. Un regime che ha fallito ogni obiettivo preposto. Un regime che non ha semplicemente avallato ma ha attivamente partecipato alla più grande atrocità vista in occidente. E così come si evince dalle clausole del trattato di Parigi, l’armistizio dell’8 settembre non cancella la nostra partecipazione attiva al deragliamento della ragione umana rappresentato dal nazi-fascismo. Non si può dimenticare che milioni di persone, di ogni estrazione sociale, hanno dato il proprio supporto all’aberrazione che ha portato alla morte di milioni di persone. Non devono passare in secondo in piano le atrocità commesse in nome del più ignobile razzismo e della becera presunta superiorità di una razza. Soprattutto non va dimenticato che noi italiani non siamo stati semplici spettatori di queste atrocità ma attori protagonisti.

L’Italia ha perso se stessa

Il senno del poi ci dà la possibilità di capire che non c’è stato nulla di positivo in questo sfacelo. La distanza temporale ci consente di poter osservare con freddezza un percorso che ha condotto a una catastrofe totale. Una catastrofe che ha trasformato l’Europa in semplice campo da gioco per giocatori esterni. L’Italia in questa catastrofe perde se stessa, il suo spazio geopolitico e il contatto con il suo passato. L’emergenza della ricostruzione, il tessuto sociale già di per se devastato e narrazioni di parte hanno ostacolato, fino a ora, la corretta metabolizzazione dell’enorme vergogna a cui abbiamo preso parte.

Il contesto geopolitico attuale ci impone di ricominciare a pensare in prospettiva strategica, e per fare ciò è necessario recuperare la giusta consapevolezza del passato. Il nostro Paese non nasce l’8 settembre 1943 o il 2 giugno 1946. Il nostro Paese nasce molto prima e se non recuperiamo questo non possiamo recuperare la cognizione dello spazio che occupiamo nel mondo. Senza ciò siamo disarmati e incapaci di difenderci nell’attuale quadro globale fatto di mutamenti e crescente instabilità.


[1] https://www.quirinale.it

[2] https://elezionistorico.interno.gov.it

[3] Formigoni, Guido, Storia essenziale dell’Italia repubblicana, Bologna 2021, p.35

[4] ibidem

[5] https://www.gazzettaufficiale.it

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