Il punto critico del programma nucleare iraniano

Tra ambizioni strategiche e fragilità tecnologiche, l’Iran resta a un passo dalla soglia nucleare, alimentando tensioni regionali e timori globali

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L’Iran possiede un programma nucleare che si colloca oggi in una zona grigia: ufficialmente, esso è volto a scopi civili come la produzione di energia tramite il suo unico impianto nucleare attualmente operativo, a Bushehr, oppure per scopi di ricerca. Tuttavia il Paese esibisce capacità tecnologiche tali da poterlo rendere una potenziale potenza nucleare in tempi relativamente ristretti. Non sarebbe la prima volta, infatti, che l’Iran ha esposto ambizioni di ottenere un ordigno nucleare. Il progetto AMAD, l’esistenza del quale Teheran tuttora smentisce, è stato un primo sforzo per costruire un programma nucleare militare, non riuscito sebbene sia durato quasi quindici anni, secondo la International Atomic Energy Agency (IAEA)[1]. Questo perché l’esistenza di un programma civile non indica inevitabilmente la possibilità di sviluppare un’arma. Per trasformare conoscenze in ambito civile in capacità bellica occorre una catena di processi che include la conoscenza approfondita di fisica nucleare, capacità chimiche avanzate e ingegneria metallurgica. Gli attacchi israeliani e americani di giugno hanno lasciato intatta gran parte della filiera, rendendo però ulteriormente problematici alcuni processi già critici per l’Iran.

A maggio 2025 l’Iran pareva essere ad un passo dalla soglia tecnologica necessaria a produrre un ordigno nucleare. Rimangono tuttavia colli di bottiglia strategici legati ad alcuni processi fisici e tecnici, come la metalizzazione, nonchè altri contributi associati a vulnerabilità strutturali, energetiche, politiche e sociali.

Certamente l’Iran non ha il consenso da parte della “comunità internazionale” per possedere un’arma nucleare. Solo i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, i Big Five, sono riconosciuti ufficialmente come detentori di armamenti nucleari (USA, Russia, Francia, Regno Unito, Cina). Essi sono firmatari del Trattato di Non Proliferazione che regola queste armi e esorta i Paesi possedenti un arsenale nucleare al disarmo. Inoltre, proibisce l’acquisizione di ordigni a Paesi che non ne hanno. Come ben noto, il trattato non ha mai dissuaso altri Stati dal cercare di dotarsi di queste armi: basti pensare d’altra parte all’India, il Pakistan o la Corea del Nord. Non è implausibile, dunque, che l’Iran sia più che determinato ad ottenerla, soprattutto dato il vantaggio di essenziale intoccabilità che potrebbe conferirgli. Tutto questo si svolge all’interno di un contesto mediorientale dove una guerra fredda (ormai scaldatasi) tra Iran ed Israele si sta consumando, e soprattutto considerato che si presume, anche se non sia mai stato confermato, che Israele possieda a sua volta tali armi.

La famigerata bomba nucleare utilizza un processo fisico naturale—quello della fissione, cioè la divisione dei nuclei atomici—per rilasciare enormi quantità di energia in maniera incontrollata. La distinzione tra una bomba ed un reattore nucleare non è, però, solo la capacità di controllare la reazione a catena di fissione che è centrale in entrambi gli ambiti; un programma nucleare militare non nasce automaticamente da un programma civile. Ci sono sostanzialmente tre passaggi chiave nella produzione di un ordigno. Il primo consiste nella produzione in grandi quantità di materiale fissile, cioè materiale atto a subire il processo della fissione nucleare: l’archetipo potrebbe essere l’uranio, tuttavia non tutte le forme (isotopi) vanno bene. Infatti bisognerà far sottostare all’uranio naturale, quello ricavato dalle miniere, un processo di arricchimento per selezionare l’isotopo preferito per la fissione. L’arricchimento si esegue tramite delle avanzate ed energivore centrifughe, che l’Iran tiene nelle strutture di Fordow, Esfahan e Natanz, stimate nell’ordine delle migliaia. Questo processo è materialmente costoso poichè un ordigno richiede un’arricchimento dell’uranio fino al novanta percento, mentre l’uranio naturale contiene meno dell’un percento di materiale fissile.

Alternativamente, si potrebbe usare il plutonio. Esso non esiste naturalmente nell’universo, ma viene prodotto esclusivamente da tecnologie umane, come ad esempio all’interno di un reattore nucleare. Sebbene l’Iran possieda un reattore, IR-40, il quale produce maggiori quantità di plutonio di altri reattori per il suo design speciale, utilizzando acqua pesante ed uranio non arricchito, non ci sono segnali che suggeriscano un’intenzione di costruire una bomba nucleare a plutonio. Questo è probabilmente legato alle difficoltà tecnologiche successivamente citate di utilizzare il plutonio invece che l’uranio.

In questo primo passaggio per la costruzione di un ordigno, l’Iran ha tecnologie ben consolidate, con Fordow capace di arricchire l’uranio già oltre all’ottanta percento.

Il secondo processo, la metalizzazione, converte il materiale fissile arricchito gassoso, in metallo lavorabile da modellare in componenti dell’arma. Questo passaggio rappresenta una sfida tecnologica non indifferente per l’Iran. La barriera si articola nella necessità di camere a pressione controllata, forni ad alte temperature, nonchè altre competenze di fisica tecnica avanzate. Nel caso del plutonio, le sue molteplici fasi solide rendono la sua stabilizzazione tramite leghe necessario, processo che richiede un know-how di ingegneria nucleare che pochi Paesi al mondo hanno del tutto consoldiato. Senza il processo della metalizzazione stabile, una potenziale bomba non può esistere. Secondo la BBC, l’Iran aveva un tale laboratorio sperimentale, sebbene su scala decisamente ridotta, ad Isfahan almeno dal 2021[2]. Non sembra presentare una filiera industriale abbastanza robusta per il momento, lasciando questo collo di bottiglia critico.

L’ultimo passo è l’ingegnerizzazione dell’ordigno, cioè l’assemblaggio concertato della testata nucleare con esplosivi convenzionali. Esistono molti design conosciuti sebbene i più moderni montaggi rimangano classificati.

Secondo un rapporto della stessa IAEA risalente a maggio del 2025, l’Iran dispone di più di 400 kg di uranio arricchito oltre al sessante percento[3]. Questo basterebbe, se portato a livello di arricchimento oltre il novanta percento, a circa tre testate nucleari. Modernamente, il limite in arricchimento tra materiale fissile per scopi civili e materiale strategico militare è del venti percento, rendendo una giustificazione dell’arricchimento raggiunto come utile per utilizzo pacifico difficile da parte di Teheran.

Gli attacchi aerei mirati israeliani e statunitensi del giugno 2025 hanno colpito infrastrutture legate alla conversione e alla metalizzazione ma non hanno intaccato significativamente le scorte di uranio arricchito. Esso rimane dunque intatto ma la capacità di trasformarlo in metallo e successivamente in una bomba resta fragile.

Detto ciò, nel maggio del 2025, prima degli attacchi congiunti, il cosiddetto breakout time, cioè il tempo necessario per produrre uranio arricchito a livello sufficiente per produrre una sola bomba era stato stimato a meno di una settimana da parte dell’Institute for Science and International Security[4]. Tuttavia, il tempo per effettivamente costruire un ordigno funzionante rimaneva nell’ordine dei mesi, limite sempre legato alle sfide di metalizzazione e non solo.

Inoltre, l’Iran dipende energeticamente da fonti fossili e sebbene siano domestiche (petrolio e gas naturale) e ciò lo renda autonomo, rimane inevitabilmente vulnerabile a sanzioni internazionali. Lo Stretto di Hormuz, il quale è uno snodo critico per esportazioni, resta un potenziale choke point sicuramente vulnerabile a possibili crisi regionali. Incidenti più recenti, inoltre, mostrano che campagne di sabotaggio possano colpire reti elettriche (tra cui quelle legate alla produzione energetica per via nucleare) ma anche telecomunicazioni[5].

Il contesto in Iran è ricco sia di rischi che di opportunità. Certamente la maturazione delle tecnologie capaci di metalizzare aumenta il rischio di eventuali nuove, ulteriori escalation e possibili sanzioni. Simultaneamente le vulnerabilità infrastrutturali e la dipendenza dell’Iran delle fonti fossili (del quale il nucleare non fa parte) possono rallentare tali operazioni di sviluppo bellico.

Dunque l’Iran è ad un passo dalla soglia nucleare; il know-how è presente, le scorte di materiale fissile arricchito sono ampiamente sufficienti, ma il processo di metalizzazione è uno degli ostacoli strutturali che rimane tuttora cruciale. Gli attacchi di giugno non hanno inciso significativamente sulle scorte di uranio arricchito, ma le limitate capacità di metalizzazione, al contrario, dovranno essere ricostruite da capo. In linea di principio, il Paese può costruire un’arma in tempi rapidi, ma la sua effettiva operatività dipende da capacità metallurgiche ed ingegneristiche ancora da maturare e consolidare. Non bastano, dunque, le conoscenze teoriche disponibili e sicuramente padroneggiate dall’Iran.

Le valutazioni si riversano naturalmente sulle conseguenze per la stabilità regionale che avrebbe l’acquisizione della bomba nucleare da parte dell’Iran. Il naturale avanzamento del processo di metalizzazione come causa scatenante tecnologica, insieme alla resilienza energetica iraniana che garantisce di una capacità di continuità operativa sono inequivocabilmente aspetti di cui bisogna tener conto. Essi costituiscono imperativi strategici che permettono efficace operatività a chiunque abbia interessi in un Paese che, sebbene abbia enormi potenzialità economiche, rimane tuttora uno dei teatri geopolitici più volatili al mondo.


[1] IAEA Director General Grossi’s Statement to UNSC on Situation in Iran | IAEA

[2] Satellite imagery reveals damage to key Iran nuclear sites

[3] gov2025-25.pdf

[4] Analysis_of_March_2022_IAEA_Iran_Verification_Report_Final.pdf

[5] The Most Significant Long-Term Consequence of the U.S. Strikes on Iran | Carnegie Endowment for International Peace

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