Videogiochi e geopolitica: un binomio sempre più reale
L’industria dei videogiochi non è mai stata soltanto un settore di intrattenimento, ma un campo dove competizione economica, influenza culturale e sicurezza nazionale si intrecciano in un settore con evidenti potenziali geopolitici. All’interno di questo quadro dinamico e fertile emergono attori inaspettati e al contempo determinanti, in un’ottica che si estende a comprendere non solo i tradizionali domini del settore esercitati da Stati Uniti, Giappone e Cina, ma anche altre zone insospettabili. Due Paesi dell’Europa centro-orientale, Polonia e Repubblica Ceca, sfidano oggi le egemonie convenzionali disponendo di un settore videoludico in rapida evoluzione. Queste “miracolose” crescite non sono soltanto attribuibili a successi imprenditoriali, ma sono casi notevoli nei quali nazioni secondarie nel panorama tecnologico globale generano un proprio spazio in quest’ambito, ritagliandosi ruoli strategici con implicazioni che vanno ben oltre il mercato del gaming, ma che contribuiscono a costituire l’identità e le vesti della nazione stessa sul palcoscenico geopolitico.
L’ascesa sorprendente di Polonia e Repubblica Ceca
Nel corso degli anni Novanta, Polonia e Repubblica Ceca erano ancora alle prese con la transizione dal socialismo di Stato del vecchio blocco orientale all’economia di mercato, con settori industriali tradizionali, originariamente in mano alla compagine pubblica, in netto declino, unitamente ad una copiosa emigrazione verso l’estero, in particolar modo di giovani talenti. Oggi, invece, Varsavia e Praga stanno diventando centri di innovazione tecnologica, con l’obbiettivo di poter competere con Silicon Valley e Tokyo nel campo dello sviluppo videoludico. La Polonia vanta studi come CD Projekt Red, fondato nel 1994, creatori di The Witcher 3, tra i giochi più premiati della storia, e Cyberpunk 2077, che ha generato miriadi di spin off tra fumetti e giochi di carte; altri studi come Techland, il cui prodotto più famoso è Dying Light; e 11 Bit Studios, autore del videogioco This War of Mine, esemplare dal punto di vista delle sue implicazioni geopolitiche. Il settore produce valore per oltre 2 miliardi di dollari l’anno e impiega decine di migliaia di persone[1].
La Repubblica Ceca, più piccola ma altrettanto dinamica, è patria di Bohemia Interactive, studio autore della serie ARMA, ampiamente utilizzata per i simulatori militari; di Warhorse Studios, creatore di Kingdom Come: Deliverance, un role-playing game (gioco di ruolo) acclamato dalla critica. Praga vanta anche studi più limitati in dimensione e fama ma non meno creativi e influenti, ad esempio Amanita Design che sviluppa prevalentemente giochi indie, cioè fuori dal mainstream e spesso con risorse economiche ristrette, come Machinarium.
CD Projekt, Bohemia e gli altri: studi che cambiano le regole
Risulta evidente come sia nel pieno interesse di entrambi i Paesi rivolgere la propria attenzione e le proprie risorse verso le industrie videoludiche, investendo in termini materiali e politici al fine di svilupparle ulteriormente. Queste industrie si rivelano fruttuose sia dal punto di vista prettamente economico che se si considerano le importanti implicazioni geopolitiche che hanno. Il boom nel settore dei videogiochi, quindi, non è casuale: entrambi i Paesi hanno investito in istruzione tecnica, con università come l’AGH di Cracovia che dispone di un gruppo di ricerca volto allo studio dello sviluppo di videogiochi[2], o il ČVUT di Praga che offre corsi di game design o video game architecture[3]. Esistono inoltre incentivi fiscali per startup nel settore[4], e, non da trascurare, una potenza di connessione internet tra le più veloci in Europa. Il vero fattore distintivo, tuttavia, è stata la capacità di trasformare vantaggi strutturali endemici in questi due Paesi, quindi costi operativi più bassi rispetto all’Occidente, in eccellenza creativa riuscendo a produrre titoli che non sono semplici cloni di opere americane, ma prodotti con una forte identità culturale. Appoggiati da politiche favorevoli nonché da economie tra le più forti dell’Europa Orientale, l’industria dei videogiochi in Paesi come la Polonia e la Cechia possiede lo spazio operativo per spiccare il volo.
Il successo che Polonia e Cechia sono riuscite a raggiungere nell’industria videoludica ha implicazioni geopolitiche profonde, e soprattutto da non sottovalutare. I videogiochi sono uno strumento di efficacia indiscussa per l’esercizio del soft power. Se è vero che Hollywood e Netflix dominano nell’arena del soft power culturale, i videogiochi stanno diventando un veicolo altrettanto potente per plasmare l’immagine di un Paese. Riprendendo alcuni degli esempi già citati, The Witcher 3, ispirato dalle opere dello scrittore polacco Andrzej Sapkowski, ha esportato il folklore slavo e l’estetica dell’Europa dell’Est in tutto il mondo, entrando in milioni di case e rivaleggiando con l’egemonia narrativa di prodotti americani di stampo analogo come The Elder Scrolls oppure God of War. Allo stesso modo, Kingdom Come: Deliverance, gioco molto accurato dal punto di vista storico, ambientato nella Boemia del XV secolo, ha riacceso interesse per la storia ceca, il tutto in un momento in cui l’Europa Orientale è alla ricerca della propria identità e di un modo decisivo di affermarla; questa è un’impresa tutt’altro che banale considerato il contesto di “proibizionismo” di identità nazionale subita durante il periodo socialista dalla quale emerge la regione. Al di fuori dei cliché post-comunisti, quindi, i videogiochi si presentano come una possibile (e potente) modalità di schieramento della propria presenza culturale a livello globale. Messi a confronto con la Cina, per esempio, la quale dispone di innumerevoli canali efficienti per la promozione della propria visione, sicuramente Polonia e Cechia sono ben più limitati in capacità, ma l’incisività di quest’ultimi è figlia di una differenza cruciale: mentre Pechino controlla rigidamente la propria industria culturale, questi Paesi europei operano in un contesto di libertà creativa, rendendo la loro influenza più sottile e quindi, presumibilmente, più efficace.
L’Europa è, da ormai alcuni anni, in ritardo nella competizione tecnologica su scala globale, che è dominata da USA e Cina. Il settore videoludico potrebbe presentarsi come un’eccezione: infatti Polonia e Repubblica Ceca dimostrano che è possibile costruire un’industria tech competitiva in grado di contendere il pubblico dei videogiocatori ai colossi statunitensi e cinesi. CD Projekt sfida i colossi come Electronic Arts e Ubisoft rifiutando il modello del gioco concepito come servizio, sparpagliato in microtransazioni obbligatorie per poterlo sperimentare nella sua integralità, ma puntando invece su prodotti completi e di alta qualità. Bohemia Interactive, contestualmente, ha mantenuto la sua indipendenza nonostante le numerose offerte di acquisizione[5], continuando a sviluppare simulatori militari utilizzati da eserciti e accademie militari per l’addestramento[6]. Questi simulatori, ma anche i videogiochi a puro scopo di svago, utilizzano modelli di intelligenza artificiale avanzati, mostrando un alto livello di competenza tecnologica e integrativa, il tutto senza dover ricorrere ai grandi conglomerati del settore. Infatti, in un’epoca in cui l’Unione Europea cerca sempre di più di ridurre la propria dipendenza da piattaforme straniere, il successo di queste imprese dimostra che è possibile essere competitivi senza dover sacrificare i valori importanti nel contesto europeo come la privacy o la qualità artistica.
I videogiochi hanno quindi la possibilità di essere molto più di solo intrattenimento: è sempre più frequente che essi veicolino narrazioni politiche e, al limite, possano anche diventare strumenti di propaganda. In conseguenza allo scoppio della guerra in Donbass, This War of Mine (di 11 bit studios, polacca), un gioco che simula la vita dei civili e non dei militari in un conflitto è stato aggiunto ai testi consigliati dal governo polacco nelle scuole[7] al fine di educare sugli orrori della guerra. Questa è stata la prima volta al mondo in cui un videogioco sia stato inserito in un programma scolastico. La serie ARMA, invece, della ceca Bohemia Interactive, viene utilizzata da analisti militari per ricreare scenari bellici[8], mentre modder ucraini la utilizzano per creare video propagandistici contro la Russia[9]. A differenza di Mosca, però, nota per il suo utilizzo di troll farm e disinformazione, questi videogiochi offrono all’Occidente un modo alternativo e più persuasivo per trasmettere messaggi politici sfruttando le immersività del mezzo.
Rischi e minacce: fuga di cervelli e acquisizioni straniere
Le sfide, nonostante il successo, non mancano. Per primo, la creatività artistica che inizialmente poteva sembrare un punto di forza può rivelarsi una falla, poiché gli stipendi più alti di Germania o USA possono rimanere tentazioni forti in merito alla “fuga di cervelli”. La pressione degli investitori esteri, tra cui gruppi cinesi e sauditi che acquisiscono partecipazioni in studi europei, rischia di eroderne l’indipendenza: un esempio emblematico di questa indipendenza è manifesto nel videogioco intrinsecamente europeo The Witcher 3; videogame di questo stampo sono messi a repentaglio proprio dalle pressioni per essere acquisiti provenienti sempre da forze estere[10]. Si aggiunge a ciò la concorrenza onnipresente dei colossi globali come Microsoft, Sony e Tencent, i quali hanno budget virtualmente illimitati per poter soffocare realtà (per ora) ancora molto più piccole. L’Unione Europea, riconoscendo il potenziale strategico di questa industria, può giocare un ruolo strumentale: finanziando ricerca, proteggendo proprietà intellettuale e promuovendo collaborazione transnazionali, l’UE può stabilire permanentemente un proprio spazio nel settore, con capofila Polonia e Repubblica Ceca, e diventare così in grado di contrastare l’egemonia culturale e tecnologica delle superpotenze.
Conclusione: i videogiochi come nuova frontiera della sfida globale
L’ascesa di Polonia e Repubblica Ceca nel mondo dei videogiochi è proprio un caso emblematico di come il potere geopolitico si stia spostando sempre di più verso il dominio digitale. In un mondo dove chi controlla le narrazioni controlla anche le percezioni, questi Paesi dimostrano che non c’è bisogno di essere una superpotenza per poter giocare una partita globale, purché sappiano sfruttare creatività, autonomia tecnologica e visione strategica. Per i Paesi europei, sostenere questa industria può significare non solo creare posti di lavoro, ma addirittura difendere la propria sovranità culturale in mezzo alle guerre dell’informazione odierne. Con un’ascesa improbabile, da economie decrepite post-socialiste a prospettive hub digitali, il modello presentato da Polonia e Repubblica Ceca, ridefinendo il soft power, può portare ad una rivoluzione silenziosa che le porta al centro del settore videoludico, di grande rilevanza geopolitica: tra soft power, narrazioni nazionali e sicurezza digitale. Sicuramente, tra opportunità e rischi, il settore dei videogiochi rappresenta una nuova frontiera della competizione globale, e le nuove potenze di questa industria, con Praga e Varsavia in capofila, dispongono di grandi opportunità per dispiegare a pieno il loro potenziale.
Fonti:
https://www.nato.int/cps/en/natohq/news_180639.htm
https://documents1.worldbank.org/curated/en/657051570692065211/pdf/Migration-and-Brain-Drain.pdf
https://ieeexplore.ieee.org/abstract/document/10543615
https://www.redalyc.org/pdf/6617/661770389007.pdf
[1] https://en.parp.gov.pl/storage/publications/pdf/GIofP_2021_FINAL.pdf
[2] https://www.eduvrlab.agh.edu.pl/index-en.html
[3] https://bilakniha.cvut.cz/en/predmet8307006.html#gsc.tab=0
[4] https://media.kpt.krakow.pl/217497-video-game-sector-uses-tax-relief-the-2022investments-in-malopolska-exceed-1-billion
[5] https://gamesbeat.com/tencent-hasnt-acquired-a-stake-in-bohemia-interactive/
[6] https://pro.bohemia.net/services/other-services/military-training
[7] https://notesfrompoland.com/2020/06/18/poland-puts-computer-game-this-war-of-mine-on-school-reading-list/
[8] https://www.rand.org/content/dam/rand/pubs/research_reports/RRA600/RRA683-1/RAND_RRA683-1.pdf
[9] https://www.euronews.com/my-europe/2025/06/10/fake-war-in-ukraine-clips-from-video-games-mislead-millions-on-social-media
[10] https://medium.com/@gamer95/how-china-is-slowly-overtaking-video-games-0d5f51fa655a