Barcellona, anno 2045. Nella grande Plaza de la República sventolano bandiere color porpora e oro, attraversate da un’aquila stilizzata che tiene tra gli artigli il motto “Civitas Latina”. È il giorno della proclamazione della Federazione Latina, unione politica che raccoglie Francia, Spagna, Portogallo, Italia e Romania. Dal nuovo palazzo federale, gli oratori parlano in un latino semplificato, lingua ufficiale accanto alle lingue nazionali, a suggellare il ritorno di un’antica radice comune. I cittadini accorsi applaudono, ma dietro la retorica celebrativa si percepisce il peso di secoli di incompiuta eredità, di identità spezzate e riscoperte, di un legame che mai si è estinto del tutto: quello con Roma. La piazza brulica di emozione, tra manifesti dorati e scritte che celebrano i simboli della latinità. Studenti e storici dibattono sulle implicazioni politiche di un progetto così ambizioso, mentre altri più scettici osservano con un misto di curiosità e diffidenza.
L’idea di una koinè latina federalizzata non è solo una fantasia distopica, ma trae origine dal celebre progetto intellettuale di Alexandre Kojève, filosofo russo-francese del XX secolo, che immaginava in Europa un “Impero latino”, destinato a riunire Francia, Italia, Spagna e Portogallo, estendendosi idealmente anche all’America, appunto, Latina.
Secondo Kojève, tali nazioni costituivano una famiglia naturale di popoli, legati da una matrice culturale comune: il diritto romano, la radice linguistica comune, il cattolicesimo ed una forma mentis tipica delle grandi civiltà mediterranee.
A differenza dell’Unione Europea, che egli giudicava come una fusione a freddo basata su tecnicismo e burocrazia, l’Impero latino avrebbe avuto la solidità di un’unione fondata su affinità reali, simili a quelle che tengono insieme i membri di una famiglia.
Proprio per questo, il suo valore non era soltanto politico, ma simbolico: mostrava come l’unità più autentica tra i popoli potesse nascere dal riconoscimento di radici comuni e da un sentire condiviso, fondato su valori universali, diritto e razionalità politica, e che si esprimeva nella lingua, nell’arte e nelle istituzioni.
In questo senso, Francia, Spagna, Portogallo e Romania incarnano concretamente quei riferimenti culturali: dalla grandeur francese alla missione cattolica spagnola, dall’espansione marittima portoghese all’identità resistente della Romania. Tutti elementi che Kojève avrebbe riconosciuto come tessere di una famiglia culturale in attesa di essere istituzionalizzata.
Francia: la grandeur e la latinità razionalizzata
Tra gli Stati eredi di Roma, la Francia è quello che più ha preteso di incarnarne lo spirito universale. Dalla Gallia romanizzata fino al Code Napoléon, la Francia ha proiettato l’immagine di una nuova Roma repubblicana e imperiale allo stesso tempo, capace di concepire un modello politico universale e di esportarlo, sia con il soft che con l’hard power. L’organizzazione burocratica dello Stato, la codificazione del diritto civile e l’attenzione al centralismo parigino sono, infatti, i tratti più esemplari della chiara impronta culturale romana e latina.
La grandeur, concetto cardine dell’identità francese, è di fatto una trasfigurazione moderna dell’idea di imperium: non solo potere, ma anche missione civilizzatrice. Dopo circa un millennio monarchico e molto più di sette re, la Rivoluzione francese, che si rifaceva esplicitamente alla repubblica romana nella sua fase più radicale e al suo paganesimo, si è rapidamente trasformata in impero, bruciando in pochi anni le tappe storiche che hanno invece impegnato Roma per secoli.
Solo la debacle militare contro i “barbari” vicini germanici nel 1870 ha degradato l’imperator in dictator, da rimuovere subito per tornare altrettanto rapidamente ad una Repubblica di cui le President è console unico a mandato variabile.
Non riuscendo infatti a dominare l’Europa, la Francia ha riscoperto l’universalità rivoluzionaria dedicandosi ad una missione colonizzatrice negli altri continenti, la cui eredità è ancora presente ai giorni nostri, seppur in veloce disgregazione.
Spagna: l’impero cattolico e il peso della missione universale
Se la Francia ha razionalizzato Roma, la Spagna ne ha ereditato l’anelito imperiale nella forma di missione religiosa universale. Proprio come Roma sconfisse Cartagine, La Spagna moderna ha debuttato sul palcoscenico delle potenze europee espellendo i mori dalla propria penisola con la Reconquista.
Impresa militare alimentata dal credo cattolico e plasmata dal matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, essa è terminata lo stesso anno della scoperta delle Americhe, finanziata dalla medesima corona. Così dalla Reconquista ai conquistadores, protagonisti dell’impero dove non tramonta mai il sole, invictus per antonomasia.
La Spagna ha dunque raccolto e trasformato l’eredità imperiale nell’espansione cattolica globale, rafforzata poi dalla Controriforma, consolidando un’idea di unità e pietas che ne legittimasse la conquista del Nuovo Mondo, rivestendola con la croce.
Portogallo: la latinità d’oceano e della saudade
Il Portogallo rappresenta un caso particolare: piccolo regno ai margini dell’Europa, ma erede diretto della latinità iberica. La sua capitale, Lisbona, fu una delle città romane più importanti della penisola.
La vera trasformazione dell’eredità latina in Portogallo è avvenuta con la vocazione marittima. Se Roma aveva conquistato il Mediterraneo, il Portogallo ha reinterpretato quella missione negli oceani. Vasco da Gama e Magellano incarnano una latinità espansa oltre l’ignoto delle Colonne d’Ercole e l’idea che un mondo divenuto sferico possa diventare spazio politico, economico e culturale di una civiltà comune.
Otre a tale latinità oceanica, il Portogallo custodisce un tratto intimo, poetico, malinconico: la saudade. È il sentimento che accompagna l’eco dell’impero perduto, la coscienza di una missione universale che non si è mai compiuta fino in fondo. Come se la latinità portoghese fosse una promessa incompiuta, proiettata più nel sogno che nella realtà.
Romania: il nome come destino
Nessun Paese europeo porta la traccia di Roma in modo così diretto e identitario come la Romania. Il suo stesso nome è una dichiarazione: Romania, la terra dei discendenti di Roma. L’occupazione della Dacia da parte di Traiano ha lasciato una cicatrice profonda e duratura, una lingua neolatina nel cuore dei Balcani, circondata da slavi e magiari e turchi.
La Romania è stata per secoli un’isola latina in un mare straniero, difendendo la propria identità attraverso la lingua e il mito delle origini romane. Figure come Traiano e Decebalo hanno continuato a ispirare l’immaginario nazionale moderno, diventando simboli di resistenza e legame con l’antica Roma.
Durante il XIX secolo, con il Risorgimento nazionale, questo legame si è trasformato in ideologia politica: Bucarest come “Piccola Parigi”, la modernizzazione giuridica e culturale come ritorno all’Occidente latino.
In Romania l’eredità di Roma è dunque linguistica, culturale e identitaria. È un filo che ha permesso al Paese di riconoscersi come parte della famiglia europea, nonostante le dominazioni ottomane, asburgiche e sovietiche. Una latinità resiliente, che oggi alimenta l’orgoglio nazionale e la collocazione geopolitica filo-occidentale, matrice, tralaltro, della minoranza etnica più cospicua in Italia.
Quattro volti, un’unica faccia
Questi percorsi differenti rivelano la potenza della latinità. Non un dogma, ma un principio vitale capace di assumere forme sempre nuove. È ciò che rende oggi potenzialmente complementari i Paesi che ne fanno parte: la Francia portatrice di uno spirito rivoluzionario e universale, la Spagna guerriera devota, il Portogallo votato all’esplorazione, la Romania depositaria di un’identità tenace.
L’idea di una Federazione Latina si configura piuttosto come un simbolo per mostrare come ogni unione politica che si pensi duratura dovrebbe basarsi anzitutto su di un effettivo sentimento di familiarità da parte della popolazione deputata ad abitarne gli spazi.
In un’Europa sempre più divisa tra modelli tecnocratici, austerità economica e divergenze politiche, la memoria di una famiglia culturale come quella latina può fornire un’idea alternativa di Unione, basata su una cittadinanza radicata nelle rispettive lingue, figlie della stessa madre, negli ideali di bellezza della forma e di bontà della sostanza, nella devozione e nell’attaccamento alla famiglia, nella solennità del diritto, nella capacità di aprirsi all’ignoto pur mantenendo un’identità forte in grado di assimilare e rielaborare ciò che è esogeno.
Federazione Latina, un possibile scenario
Volendo pertanto procedere ad un mero esercizio di immaginazione seguendo le orme di Kojeve, se mai esistesse una federazione latina in Europa essa dovrebbe includere gli Stati già citati e l’Italia, i micro-Stati prossimi ai suoi confini (Andorra, Gibilterra, Monaco, Malta e San Marino), magari allargata anche ai “cugini” mediterranei di Grecia, Cipro e forse anche Albania, con un ruolo di osservatore per Paesi in parte “neo-latinofoni” come Svizzera, Belgio e Moldavia, costituendo così una potenza mondiale senza ombra di dubbio.
Con circa 221 milioni di abitanti e un PIL nominale di oltre 8,3 trilioni di dollari[1], infatti, essa si collocherebbe al terzo posto tra le maggiori economie del mondo dopo Stati Uniti e Cina, formando un blocco culturalmente coeso e proiettato su tutti i domini esistenti, dal mare allo Spazio alla dimensione cibernetica, il cui presidio è fondamentale per tutelare la propria sicurezza e prosperità.
La concentrazione di know-how tecnologico e industriale, demografia consistente (anche se in calo) e forza militare di tutto rispetto, creerebbe un cluster competitivo tra le superpotenze globali.
Con un esercito di oltre 1 milione di soldati attivi e riserve di altri 2 milioni, forze navali oltre le 200 unità tra cui anche portaerei e sottomarini, circa 2000 velivoli di ultima generazione e capacità di produrre tutto questo in autonomia, oltre a droni e satelliti, la Federazione avrebbe facilmente il controllo strategico del Mediterraneo, con capacità di proiezione oceanica, rendendola superiore a qualsiasi potenza regionale europea[2]. Infine, la Francia assicurerebbe deterrenza nucleare, la quale sarebbe il caso di condividere però equamente, sul modello di quanto avviene già in ambito NATO.
Una sorta di Unione Europea ridotta a cosa più si assomiglia al suo interno insomma, in grado di intraprendere davvero quel processo federale oggi bloccato dalle troppe differenze e disparità. Il tanto agognato Sovra-Stato basato sul Volksgeist, o meglio sullo Spiritus Populi, per dirlo in latino, e non più su freddi vincoli finanziari e su necessità di breve termine, ma ispirato da un vero e convinto sentimento di fratellanza.
[1] https://data.worldbank.org/?locations=ES-FR-IT ; https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.CD
[2] https://www.sipri.org/databases/milex ; https://www.iiss.org/publications/the-military-balance ; https://www.globalfirepower.com/navy-force-by-tonnage.php





