Le elezioni presidenziali americane del 2020 rappresentano un evento cruciale nella recente storia degli Stati Uniti. La competizione tra Joe Biden, candidato democratico, e Donald Trump, presidente uscente repubblicano, ha messo in luce le profonde spaccature che attraversano il paese, rendendo evidenti divisioni che sembrano ogni giorno più insormontabili.
Un elemento chiave di queste elezioni è stata la pandemia di COVID-19, che ha spinto milioni di elettori a ricorrere al voto per corrispondenza o al voto anticipato, nel tentativo di evitare assembramenti ai seggi. Questo ha alimentato il dibattito sulla sicurezza e la trasparenza delle elezioni. Già prima del voto, Trump aveva lanciato l’idea di possibili frodi elettorali legate al voto postale, preparando così il terreno per contestare i risultati in caso di sconfitta.
Quando Biden è stato dichiarato vincitore con 306 voti elettorali contro i 232 di Trump, le accuse di brogli sono esplose. Trump e i suoi sostenitori hanno contestato i risultati in diversi stati chiave, dando il via a battaglie legali e richieste di riconteggio. La tensione è culminata il 6 gennaio 2021, con l’assalto al Campidoglio da parte di una folla di sostenitori di Trump, nel tentativo di bloccare la certificazione della vittoria di Biden. Questo evento ha colto di sorpresa il mondo intero, mettendo a nudo la fragilità del fronte interno americano.
Nonostante la vittoria di Biden, il fenomeno trumpista non si è affievolito. La figura di Trump continua a esercitare una forte influenza sul Partito Repubblicano e sul dibattito politico nazionale. La mappa elettorale del 2020 ha evidenziato una nazione polarizzata non solo politicamente, ma anche culturalmente ed economicamente. Gli stati costieri, come la California e New York, più urbani e progressisti, hanno sostenuto Biden, mentre le regioni rurali del Midwest e del Sud sono rimaste fedeli a Trump.
Biden ha vinto il voto popolare con il 51,3% dei consensi contro il 46,8% di Trump, ma il margine relativamente ristretto dimostra quanto sia difficile governare un paese così diviso. Le ferite lasciate dalla campagna elettorale e dall’insurrezione del 6 gennaio non si sono ancora rimarginate. Nei mesi successivi, la sfiducia nelle istituzioni è aumentata, alimentata da teorie del complotto che trovano terreno fertile nelle divisioni economiche e culturali.